Ipnositerapia
 
SU IPNOSI e
IPNOSITERAPIA
ARGOMENTI

1) Gèniosi: revisione del concetto di Ipnosi

2) Definizione operativa di Gèniosi

3) Strategie e tecniche di gestione della gèniosi

4) Strategia ipnositerapica

5) Sul significato della sofferenza e della terapia psicologica
Gèniosi: revisione del concetto di Ipnosi
GÈNIOSI: Revisione del concetto di Ipnosi


Il termine "Ipnosi" fu introdotto da J.Braid nella prima metà del 1800 per le analogie che a quel tempo sembravano esserci fra le manifestazioni del sonno fisiologico e quelle che si avevano in quella condizione particolare che si pensava creata dai magnetizzatori.
Oggi sappiamo che il sonno non ha nulla a che fare con l’ ipnosi.
Il termine "ipnosi" non è certo quello più adeguato per sintetizzare e descrivere quanto avviene in quella condizione particolare di funzionamento dell’ organismo umano che verrà descritta.
In detta condizione sono coin¬volti aspetti neuro-psico-fisiologici particolari, una relazione inter¬personale, e l’ impiego di potenzialità specifiche del soggetto. (Lo stesso Braid nel 1847 sostituì il termine "ipnosi" con "monoideismo").
Con la conoscenza sempre più approfondita del fenomeno, nel tempo, sono stati proposti da autori diversi neologismi sostitutivi del termine "ipnosi", ma nessuno finora ha avuto fortuna come il vecchio termine. Il concetto che si avvicinava di più a quello che oggi si pensa sia l’ ipnosi, è forse quello proposto da A.Romero nel 1975 di :"Eidòsi" fatto derivare dal greco èidos (aspetto, figura)
Diverse sono ancora oggi le teorie e le interpretazioni del fenomeno che si confrontano. In termini neurofisiologici l’ ipnosi viene interpretata come condizionamento, apprendimento, inibizione ed eccitazione corticale e, in termini psicologici, è interpretata come rapporto interpersonale, come suggestione, come gioco di ruoli, come regressione e come transfert; e alcuni addirittura sostengono che l’ ipnosi non esista in quanto per spiegare i fenomeni osservati non è necessario ricorrere al concetto di ipnosi . Tutti punti di vista plausibili e tutti rientranti in ciò che oggi sappiamo essere l’ ipnosi.
L’ ipnosi non è altro che la manifestazione plastica dell’ immaginazione creativa adeguatamente orientata.
Quest’ultima è la definizione fatta propria dal CIICS .
Un termine più adeguato a definire il fenomeno potrebbe essere “Gèniosi” termine composto da “gènio” dal latino gènius, sanscrito g’ânya = forza naturale dalla radice g’ân = generare, produrre, e dal soffisso –osi che aggiunto a sostantivi o a confissi, forma sostantivi che indicano un processo, una condizione.
In sintesi con gèniosi viene intesa quella forza naturale dell’ immaginazione creativa che produce effetto attraverso un dinamismo che può essere consapevolmente gestito.
Il termine gèniosi sarà da ora utilizzato nel testo .
Definizione di Gèniosi
Una definizione operativa di Gèniosi

La gèniosi esprime la potenzialità dell’ immaginazione, è la manifestazione plastica dell’ immaginazione o meglio della rappresentazione mentale, è un fatto biologico, è un dinamismo psicosomatico di particolare partecipazione mente-corpo attraverso il quale il soggetto riesce ad influire sulle proprie condizioni psichiche e fisiche.
L’ aspetto che caratterizza tale dinamismo è il monoideismo plastico.
Attraverso la propria coscienza di sé adeguatamente orientata il soggetto è in grado di gestire la potenzialità della rappresentazione mentale.
Nella gèniosi è importante il rapporto interpersonale fra l’ operatore e il soggetto
Perché il fenomeno sia adeguatamente gestito, il rapporto deve essere tate da consentire una chiara comunicazione e devono essere attivate certe procedure da parte dell’ operatore che orientino l’ attenzione del soggetto sull’ obbiettivo da raggiungere (tali procedure, con riferimento al vecchio concetto di ipnosi, erano dette: tecniche di induzione). È inoltre necessaria da parte del soggetto la presenza di precise e specifiche condizioni: aspettative, atteggiamenti, motivazioni e potenzialità di apprendimento.
Va ancora aggiunto che quando il monoideismo non è realizzato attraverso un rapporto interpersonale diretto ma è ottenuto con procedure autonome apprese nel modo più disparato (Training Autogeno, Meditazione, Dinamica mentale, Mind Control, Yoga...) si parlava di autoipnosi e ora si dovrebbe dire autogèniosi.

Dalla definizione esposta è possibile evidenziare alcune caratteristiche del fenomeno che vanno approfondite :
* Stato particolare di partecipazione mente - corpo.
* Monoideismo plastico.
* Aspettative. Motivazioni. Potenzialità di apprendimento.
* Tecniche di gestione del fenomeno.
* Relazione operatore - soggetto.


Lo stato di particolare partecipazione mente corpo

Quel che ancora oggi è incomprensibile per alcuni settori della scienza, è come la coscienza e le sue funzioni che è una dimensione spirituale, partecipi alla dimensione fisica e con essa interagisca fino ad agire sulla materia. Quel che è difficile comprendere è come “lo spirito si faccia carne”, se la mentalità comune è ancora di considerare lo spirito e la materia come due universi completamente diversi, separati e non in comunicazione fra loro.
Spirito e materia non sono due universi separati ma due manifestazioni dell’ unica totalità energetica, sono manifestazioni diverse dell’ unica realtà sostanziale.
Soltanto la comprensione dell’ unità spirito-materia ci permette di scoprire come la nostra coscienza focalizzata e manifestata attraverso la rappresentazione mentale (il pensiero, l’ ideazione, l’ immagine mentale), sia anche energia concreta.
Certe culture, anche contemporanee testimoniano la concretezza energetica dello spirito da molto tempo.
Filosofie orientali sostengono che la totalità della vita nell’ universo, uomo compreso, è permeata da un flusso energetico; ne sarebbe un esempio il Qi della medicina tradizionale cinese il quale sosterrebbe tutti i processi vitali al punto tale che, i maestri che hanno appreso a controllarlo, sarebbero in grado di utilizzarlo anche a scopi terapeutici .
Paramahansa Yogananda afferma che: "L’ unica differenza fra coscienza e materia, mente e corpo, è il grado di vibrazione." E la vibrazione sarebbe il moto dell’ energia.
Tali ottiche affermano la realtà energetica dello spirito e della materia come unica riconducendo la loro differenza unicamente alla frequenza di vibrazione.
In occidente da qualche decennio sta avvenendo nella scienza un mutamento fondamentale nella visione del mondo , la fisica sta elaborando teorizzazioni che, pare, non possono più escludere la dimensione spirituale della realtà .
La teoria della relatività complessa elaborata da Jean E. Charon indica con precisione la struttura dello Spirito e dimostra che tutto ciò che è fisico, nel contesto della Vita che è la totalità, non è disgiunto dallo spirituale.
Noi saremmo in un universo vivo che ha memoria e coscienza di esistere ai suoi vari livelli. (Ovviamente sono diversi i livelli di memoria e di coscienza fra il minerale, il vegetale, l’ animale e l’ uomo).
Questa coscienza conferirebbe a tutto ciò che esiste nel nostro Universo l’ iniziativa e il significato. Charon afferma ancora che ogni tipo di esistenza nella dimensione fisica deriva dall’ ordinamento posto nello spazio-tempo ad opera di una realtà superiore di carattere informazionale cosciente.
Certo è che se la teoria elaborata da Charon e collaboratori fosse confermata sarebbe definitivamente spiegata la dinamica spirito - materia.
Questo lavoro va lasciato ai fisici e ai loro strumenti. Nell’ attesa che il confronto di conferme e disconferme faccia fare un nuovo salto di comprensione alla scienza, i concetti che da tale teoria emergono sono molto utili alla comprensione della gèniosi.
Accettando i concetti citati in riferimento alla rappresentazione dell’ universo, anche la fisica rivestirebbe di contenuto scientifico l’ affermazione che la coscienza è energia concreta e lo spirito è una realtà scientifica.
Se è vero che l’ universo è un tutto dal quale nulla può essere eliminato; come tutti sanno, nulla può essere nato dal nulla e l’ energia è in continua trasformazione nel suo manifestarsi.
E se fosse dimostrata la complementarità energetica fra spirito e materia e la conseguente loro interrelazione, tutto ciò chiarisce in termini fisico-matematici (scientifici) il concetto di partecipazione coscienza (idea, immaginazione)-corpo utile a spiegare la gèniosi e caratterizzerebbe definitivamente la coscienza come dimensione energetica-spirituale complementare alla dimensione fisica; inoltre, detta coscienza, non potrebbe più essere pensata come un epifenomeno del cervello quasi al pari di una secrezione ghiandolare.
Nell’ uomo la coscienza sarebbe l’ energia che anticipa la rappresentazione mentale (la sua vibrazione) e gli consentirebbe la penetrazione nelle cose attraverso il pensiero, il sentimento e l’ azione. Essa è l’ aspetto che caratterizza l’ uomo come realtà autonoma capace di essere concretamente attiva.
Tale energia, pur necessitando del cervello e del sistema nervoso per esprimersi percepibilmente nell’ organismo umano è, per quanto affermato sopra, complementare ad esso e non può essere identificata con il cervello stesso o con le sue funzioni; è anche una realtà a sé.
È rappresentandoci la dinamica della vita in tale modo che è possibile comprendere l’ opera d'arte, l’ intuizione, la scoperta; che sono certamente qualcosa di più della semplice elaborazione dell’ informazione rilevata ed elaborata dal cervello nel corso della sua esistenza; ed è solo così possibile spiegare il "sognare insieme" descritto da C. Castaneda nei suoi libri romanzati, la consapevolezza inconscia in anestesia generale e le esperienze di pre morte studiate anche da Sodaro e da Paciolla .
Quest'energia che necessita del cervello e delle informazioni da lui immagazzinate per prendere corpo come pensiero, come immagine, come rappresentazione mentale, che necessita di tutto l’ apparato neuroendocrino e muscolare per caratterizzarsi come sentimento, emozione ed azione è, si potrebbe dire, per sintetizzare in una parola: il saper di essere
La coscienza di essere è un ‘sentire’ che non può essere sovrapponibile e riducibile alla coscienza psicologica dell’ Io, in quanto, nel mio dire, comprende in sé anche tutto il dinamismo subconscio.
Forse un esempio fisico banale chiarisce meglio questo concetto.
L’ energia elettrica prodotta dalla caduta dell’ acqua da un bacino che fa ruotare un alternatore e viene distribuita da linee e cavi elettrici è, si potrebbe dire superficialmente, vibrazione; non si vede e non produce effetto se non quando si applica ad un utilizzatore.
Se si applica ad un filo di tungsteno mantenuto sotto vuoto in una palla di vetro (La lampadina), ecco fatta la luce.
La coscienza di essere è l’ energia in potenza (l’ acqua nel bacino), l’ immaginazione creativa (la caduta dell’ acqua in condotta e l’ alternatore) è la vibrazione, l’ energia in manifestazione; le informazioni contenute nel cervello e il cervello stesso, sono il filo di tungsteno e l’ ampolla di vetro, il pensiero è la luce.
Senza acqua nel bacino, né energia elettrica né luce, anche se abbiamo tante lampadine.
Senza coscienza di essere non esiste pensiero creativo anche se si hanno a disposizione cervelli e informazioni come finora pare dimostrino gli studi sull’ intelligenza artificiale.

Tornando alla definizione di gèniosi come stato particolare di partecipazione coscienza-corpo si può dire che: lo stato di partecipazione della gèniosi consiste nella polarizzazione "della coscienza di essere", consiste nell’ orientamento di detta energia, per l’ impiego al meglio delle potenzialità dell’ organismo (immaginazione creativa) verso il raggiungimento del fine che ci si propone. In sintesi la gèniosi sarebbe un'espressione della gestione consapevole del rapporto coscienza - corpo.
Nella gèniosi la potenzialità dell’ organismo umano sarebbe al servizio di quest' energia ad un livello più elevato di quello solito che si osserva nello stato di coscienza di veglia grazie all’ attenzione particolarmente focalizzata.

Il monodeismo plastico

Il concetto di partecipazione esposto, pur chiarendo in parte il fenomeno “gèniosi”, non è sufficiente a caratterizzarlo e a differenziarlo da altri fenomeni specifici dello stato di partecipazione quali possono essere le malattie psicosomatiche,lo stato di estasi mistica, lo stato di trance spiritica, lo stesso stato di innamoramento e anche lo stato nel quale si verificano le fenomenologie paranormali.
Per comprendere la gèniosi, al concetto di partecipazione va aggiunto un secondo importante concetto: l’ “ideoplasia”; indispensabile per caratterizzare la gèniosi dagli altri stati anch'essi espressione della partecipazione coscienza - corpo.
Granone afferma la specificità dello stato ipnotico nella manifestazione di fenomeni di "ideoplasia" con le conseguenti trasformazioni in realtà subiettive od obiettive di quanto viene intensamente immaginato .
Quindi, al di là delle modalità per ottenerlo e delle strutture neurofisiologiche coinvolte perché il dinamismo ipnotico si manifesti, la dimensione che ne caratterizza la specificità è proprio la plasticità della rappresentazione mentale o, se preferiamo il: “monoideismo plastico”.
I concetti di monoideismo plastico, ideoplasia o ideoplastia sono, in questo contesto, ritenuti sinonimi e stanno a significare la possibilità creativa che ha un'idea, ossia che ha un pensiero, rappresentato mentalmente, non necessariamente in termini visivi, di estendersi e realizzarsi nell’ organismo con modificazioni muscolari, viscerali, endocrine, percettive ed emozionali.
Storicamente il termine “ideoplasia” fu proposto per la prima volta da Forel A. nel 1894 per definire il principio ideomotorio già descritto da Carpenter nel 1873 e poi ripreso da Bernheim con il termine “ideodinamismo” nel 1907.
A conferma di tale principio vennero svolte delle precise e documentate indagini scientifiche nel 1926 da Allers e Scheminzky presso l’ istituto di fisiologia di Vienna .
L’ ideoplasia motoria può essere sperimentata facilmente da chiunque con un piccolo pendolo .
Si costruisce un piccolo pendolo con un filo lungo 25 - 30 centimetri ed un peso legato ad un capo. (Il peso può essere di qualsiasi forma: anello, bottone, chiave ecc.)
Su un foglio di carta bianca si disegna un cerchio di 10 cm di diametro e all’ interno del cerchio si tracciano due diametri tra di loro perpendicolari.
Ci si siede comodi ad un tavolo. Si prende in mano il pendolo stringendo il capo del filo senza peso fra pollice e indice. Si appoggia il gomito sul tavolo sul quale si è precedentemente messo il foglio e si posiziona il peso al centro del cerchio disegnato tenendolo leggermente staccato dal foglio.
A questo punto si tratta di immaginare intensamente il peso che ruota sulla circonferenza del cerchio. È importante non fare assolutamente nessun movimento volontario con la mano e con il braccio, anzi il suggerimento è che la mano e il braccio siano completamente abbandonati e dimenticati. L’ attenzione va tutta rivolta al peso con l’ idea che ruoti sulla circonferenza e la certezza che prima o poi inizierà a muoversi.
Le cose andranno sicuramente come detto. Dopo qualche attimo il peso inizierà ad avere dei movimenti irregolari che si caratterizzeranno in maniera sempre più precisa aumentando lentamente e gradualmente la circonferenza di rotazione.
A questo punto, quando il peso ha realizzato quanto il soggetto ha intensamente immaginato è possibile modificare il movimento del peso cambiando unicamente la rappresentazione mentale. Sarà sufficiente immaginare che il pendolo non ruoti più ma oscilli, avanti e indietro su un diametro tracciato del cerchio. E così avverrà, il peso cambierà movimento e inizierà ad oscillare. Sarà possibile rendersi conto come cambiando rappresentazione mentale, si cambia automaticamente, quasi immediatamente il movimento del peso.






È probabile che prima che il peso inizi a muoversi trascorra qualche momento, un po’ come se il cervello dovesse trovare il percorso corretto per inviare le informazioni ai muscoli interessati al movimento rappresentato, lo sperimentatore non si scoraggi subito, abbia la certezza che prima o poi il peso si muoverà, e così avverrà.
Attualmente i processi che il pensiero impiega per attivare fenomeni fisici sono sempre più studiati, nel contesto della medicina, dalla psico-neuro-endocrino-immunologia e ad essa rimando coloro che volessero approfondire l’ argomento.

L’ unità inscindibile dell’ essere umano.

Ho affermato che la gèniosi è quella condizione, quel modo di essere e di funzionare dell’ organismo umano definita dallo stato particolare di partecipazione coscienza-corpo mediante il quale si attiva l’ ideoplasia.
Ho accennato alla possibile realtà di una dimensione spirituale, alla mente (psiche) e al corpo nella loro interrelazione, ma se si desidera rendere operativi questi concetti occorre dare a tali termini un minimo di contenuto.

Se si accettano le tesi proposte dalla fisica alle quali ho fatto riferimento si ricava che lo spirito, la psiche e il corpo sono manifestazioni diverse di una unità inscindibile: “la Vita” , l’ energia universale che compenetra tutto ciò che è.
Ho fatto un tentativo per rappresentare tale unità inscindibile dell’ essere umano e propongo l’ immagine grafica di una sfera compo¬sta da tre strati sovrapposti e divisa in più settori.
Questa sfera, costituita da tre strati sovrapposti, raffigura i tre aspetti o livelli attraverso i quali l’ uomo si manifesta; il più esterno contrassegnato con la lettera (A), corrisponderebbe al “complesso fisico” (la forma - la struttura della macchina), il centrale (B) corrisponderebbe al “complesso psichico” (il movimento - il programma della macchina), e il più interno (C) corrisponderebbe al complesso animico” caratterizzato dall’ insieme dei valori e dai significati di coscienza, (i principi - i contenuti del programma).

La stessa sfera può essere pensata suddivisa in tre settori diversi raffiguranti le tre modalità di espressione dell’ uomo: la modalità affettiva contrassegnata con la lettera (Y), quella cognitiva contrassegnata con la lettera (X) e quella motoria contrassegnata con la lettera (Z).
La tabella di seguito riportata correla i livelli di manifestazione e le modalità di espressione descritte.
Al livello fisico, per quanto concerne la modalità di espressione affettiva, si trovano collocati gli istinti ed i bisogni.
Per quanto concerne la modalità cognitiva, si trovano: la capacità intellettiva, la possibilità di fare associazioni, di fare operazioni, e di memorizzare.
In relazione alla modalità motoria, sempre sul piano fisico, si trovano le potenzialità muscolari, viscerali ed endocrine.
Al livello psichico, rispettivamente per le modalità affettiva, cognitiva e motoria si trovano, in ordine:
1) Attrazione e repulsione; 2) Idee, rappresentazioni mentali e pensieri; 3) Motivazioni, obiettivi e mete.
Al livello del “complesso animico” si ritrovano i valori; rispetto alla modalità affettiva si collocherà l’ amore nelle varie forme e l’ odio; rispetto alla modalità cognitiva, si trovano espressioni che vanno dall’ ignoranza alla conoscenza; rispetto alla modalità motoria si ritrovano la volontà progettuale creativa, costruttiva e distruttiva.

Aspetti energetici della comunicazione interpersonale

Perché la gèniosi possa essere attivata è importante il rapporto interpersonale operatore - soggetto e la comunicazione che lo sostiene.
Questo libro non ha come obiettivo affrontare questioni relative alla teoria e alla pragmatica della comunicazione, su tale argomento esiste molta letteratura .
È indispensabile però, nel tentativo di comprendere la gèniosi, accennare ad alcuni concetti di certa rilevanza:
* l’ essere vivente è un sistema aperto in continuo interscambio di energia con il suo ambiente, ed è un sistema attivo
* l’ informazione è energia e qualsiasi espressione dell’ organismo umano (comportamento) è strettamente correlato all’ informazione posseduta
* l’ esperienza della "realtà " per ognuno è mediata dal suo "sistema di significati" conscio ed inconscio.


L’ essere vivente è un sistema aperto e attivo

Per quanto concerne il fatto che l’ essere vivente possa essere considerato come un sistema aperto ed attivo penso che non vi sia un granché da dimostrare .
È un sistema aperto perché ha la possibilità di scambiare ed utilizzare energia proveniente dall’ esterno, la qual cosa gli consente processi di cambiamento in direzione evolutiva e non soltanto involutivi come sarebbe se il sistema fosse chiuso. In un sistema chiuso tende ad aumentare l’ entropia, mentre nei sistemi aperti non si ha unicamente una produzione di entropia dovuta ai processi irreversibili, ma si hanno anche diminuzioni di entropia, ed esiste la possibilità che quest'ultima raggiunga valori negativi, in conseguenza della possibilità del sistema di importare dall’ esterno quantità di energia originariamente non sua. L’ organismo umano acquisisce e trasforma energia dall’ esterno: energia fisica (alimenti, aria, acqua, luce, calore), energia psichica (informazioni e affetti, desideri) e energia spirituale (valori).
L’ essere vivente non solo può essere pensato come un sistema aperto, ma deve essere pensato anche come un sistema attivo.
Il concetto di attività esprime l’ ovvia differenza fra le cose che vengono poste in movimento solo da forze esterne che agiscono su loro, e le cose che si muovono anche sotto la spinta di forze proprie.
L’ organismo umano è attivo perché è in grado di reggersi in uno stato diverso da quello di equilibrio e di usare forze esistenti in potenza, tanto da poter agire sia come risposta a stimoli a lui esterni, che per spinta autonoma.
Considerare l’ organismo vivente come un "sistema aperto" e "attivo" ci fornisce una chiave per comprendere come sia possibile, da parte dell’ organismo stesso, conseguire un effetto antientropico che consenta l’ azione finalizzata.

La realtà energetica dell’ informazione.

È al fisico Brillanin che va il merito di aver dimostrato matematicamente il valore energetico dell’ informazione
"Se noi consideriamo un dato sistema, che può avere inizialmente Po differenti strutture, tutte dotate di uguali probabilità a priori, con l’ informazione il numero di stati possibili è ridotto a P1, e noi possiamo assumere il logaritmo del rapporto Po/P1 come la misura dell’ informazione.
Inizialmente:

Informazione Io = 0;
numero delle strutture possibili: Po

alla fine:

Informazione I1 > 0;
numero delle strutture possibili: P1

Quindi: l’ informazione è così descrivibile in termini matematici:

I1 = Kln Po/P1 = K(lnPo - lnP1) = KlnPo - KlnP1
(in logaritmi naturali)

Il coefficiente K può essere differente, a seconda dell’ unità adottata.

Richiamiamo ora la definizione statistica di entropia e la famosa formula di Bolzmann e Planck. Un sistema fisico quantizzato è capace di avere un numero di strutture microscopiche discrete che Planck chiama le distinte "complessioni del sistema" Queste complessioni si assumono essere uguali e probabili a priori. Sia P il loro numero. L’ entropia del sistema è data dall’ espressione:

S = klnP1

dove k è la costante di Boltzmann:
k = 1,38 . 10-16 cgs (gradi centigradi).

Possiamo ora comparare questa formula dell’ entropia con la definizione dell’ informazione scritta sopra, usando le stesse unità in entrambe le formule e prendendo K = k. Otterremo così:

S1 = So - I1

Cioè l’ entropia finale è uguale a quella iniziale meno l’ informazione.

Infatti:

So = klnPo (entropia iniziale del sistema)
S1 = klnP1 (entropia finale del sistema)

Ma: I1 = KlnPo - KlnP1 (Informazione al momento finale)

Quindi: I1 = So - S1 ovvero S1 = So - I1

Ciò prova dunque che l’ informazione corrisponde ad un valore negativo nell’ entropia finale del sistema:

Informazione = neghentropia

Qualsiasi espressione di comportamento non può prescindere dall’ informazione posseduta. Non sempre l’ informazione posseduta è consciamente accessibile e l’ informazione in ricezione è consciamente rilevabile.

La struttura che regola la percezione e il comportamento.

Nel dire della "coscienza dell’ essere" si è accennato al fatto che tale dimensione non può essere ricondotta alla coscienza vigile dell’ io, ma deve comprendere anche tutti i dinamismi subconsci.
Ogni psicoterapeuta ha a che fare con una quantità di materiale mentale (sentimenti, concetti, finalità) non immediatamente accessibile alla coscienza del soggetto che si rivolge a lui. Per definizione tale materiale è detto "inconscio".
Questo concetto di "inconscio", al quale si deve far riferimento per chiarire i comportamenti umani che si realizzano al di fuori della coscienza, ha subito nel tempo molte elaborazioni e molte sono anche state le discussioni sull’ opportunità di mantenere tale concetto, ma oggi la sua realtà, come dimensione dinamica funzionale, non è più una questione controversa.
Il concetto di inconscio è indispensabile per comprendere i comportamenti automatici, alcune sindromi cliniche, le dinamiche dei processi patologici, i processi di adattamento all’ ambiente, certe finalità, la natura dei sogni, i meccanismi fisiologici della propensione e della resistenza alla malattia, ecc.
Molti sono stati gli studi fatti, anche da scuole ad indirizzo teorico fra loro diverso e non psicanalitico; tali studi sollecitano il ricercatore all’ accettazione del concetto di inconscio che viene definito come un fattore sicuramente molto importante, se non addirittura uno dei principali, nella regolazione del comportamento e nella regolazione dell’ attività biologica dell’ organismo umano. Gli studi sull’ inconscio ci aiutano a capire come esso sia parte attiva nelle nostre attività quotidiane .
Gli organismi viventi, considerati come dei 'sistemi aperti' ed 'attivi', sono in grado di acquisire e trasformare l’ energia a essi esterna.
È certo che il processo di acquisizione ed utilizzazione dell’ energia esterna da parte dell’ organismo, assume il significato di una attività rivolta all’ adattamento all’ ambiente e di una attività rivolta allo sviluppo, solo nel caso in cui tale energia possa essere utilizzata ai fini della regolazione; e l’ energia in ingresso, compresa l’ informazione, può essere utilizzata ai fini della regolazione del comportamento soltanto nel caso che, attraverso l’ energia stessa, si consegua un effetto antientropico.
Perché l’ energia ricevuta consegua un effetto antientropico è necessario che esista un determinato sistema, in grado di rilevare l’ energia e definirne l’ importanza; è necessario che esista un sistema di criteri di preferenza, sulla base del quale avvenga l’ accettazione dell’ energia, un sistema di tendenze reattive abbastanza elastiche da modificarsi con il cambiamento della situazione e al tempo stesso abbastanza stabili da continuare ad esplicare una funzione orientativa malgrado le numerose influenze ostacolatrici potenzialmente esistenti.
Deve esistere una certa 'situazione definita', che non si rispecchia unicamente nella coscienza del soggetto, che esercita la sua funzione determinando il lavoro del soggetto in direzione dell’ attività che gli consente il raggiungimento delle sue mete. Tale 'stato' non corrisponde ad una qualche percezione psichica concreta del soggetto, ma è riconducibile ad un 'modo di essere', una disposizione, una inclinazione del soggetto ad emozioni, percezioni, sentimenti, ed azioni di un certo tipo. È un'organizzazione di esperienze che, quando si è formata, dà un significato all’ energia in ingresso, e può essere concepita funzionalmente come 'un programma', come un sistema di criteri regolatori.
Questo 'programma' può essere, in sintesi, pensato come l’ insieme dei significati dati dal soggetto alla totalità delle sue esperienze storiche: significati fatti di sentimento, emozione, pensiero ed azione.
Condividendo questa impostazione, si può dire che la funzione prioritaria dell’ inconscio, nel regolare attivamente il comportamento umano, consiste nei processi dinamici di rielaborazione dell’ energia (informazione) attraverso la formazione e l’ impiego di 'programmi' che danno significato alle esperienze.
Le manifestazioni concrete dei fenomeni psichici inconsci e delle forme inconsce dell’ attività nervosa superiore sono molto complesse e varie quanto sono complesse e varie le espressioni dell’ organismo umano sia a livello fisico, sia a livello psichico e sia a livello dei comportamenti.
La struttura di questi programmi è finalizzata a dare senso alle nostre esperienze, a dare significato alla nostra vita e a costruire la nostra immagine del mondo.
L’ inconscio, dal quale non si può prescindere per spiegare il comportamento umano, può essere concepito come una realtà che, insieme con la coscienza, funziona quindi come fattore di regolazione del comportamento attraverso un programma, un sistema di criteri che, dando significato all’ energia in ingresso e dando un senso all’ esperienza e alla vita, regola l’ azione.
La struttura di tale programma si costruisce attraverso la storia del soggetto nelle sue dimensioni: individuale, sociale, e culturale; e può essere rappresentata graficamente da un grande cilindro fatto da molti dischi sovrapposti.
Ogni disco corrisponde ad ogni singola esperienza storica ed è diviso in settori, in spicchi, i quali rappresentano i diversi contenuti dell’ esperienza stessa: sensazioni, emozioni, percezioni, sentimenti, pensieri, comportamenti, soggetti ed oggetti presenti in situazione.
I diversi spicchi di ogni singolo disco sono mantenuti insieme da della colla, che rappresenta il significato globale dell’ esperienza. Questi dischi, incollati l’ uno all’ altro, costruiscono il cilindro. Per completare l’ immagine si potrebbe pensare ogni singolo elemento componente il disco, e la colla, diversamente colorati, e con diversa gradazione di colore.
La colla che tiene assieme tutti i dischi corrisponde al significato globale della totalità di esperienze del soggetto, è il significato che ognuno di noi dà alla propria vita, è l’ immagine che ci siamo costruiti del mondo; significato sempre più articolato e sempre più differenziato, man mano che si sommano le esperienze.
I dischi non sono tutti uguali, e non hanno tutti lo stesso spessore e lo stesso peso; la percentuale dei dischi più grandi e più importanti si trova sicuramente fra quelli posati per primi.
Osservando il cilindro è possibile vedere l’ esterno dei dischi e le tracce della colla che li unisce; tutto

quanto si vede potrebbe essere considerato la parte conscia del programma; il resto, che si nasconde alla vista, potrebbe essere pensato come la parte inconscia.

Aspettative - Motivazioni e Potenzialità di apprendimento.

Per terminare la definizione di gèniosi proposta all’ inizio del capitolo occorre ancora affrontare gli argomenti relativi alle tecniche induttive del fenomeno e alle condizioni richieste al soggetto.
Alle tecniche di realizzazione del fenomeno sarà dedicato un intero capitolo del libro. Al soggetto è richiesto di avere aspettative, motivazioni e atteggiamenti particolari verso l’ esperienza ed è inoltre richiesta l’ attivazione della sue potenzialità di apprendimento. Il grado di risposta ai suggerimenti proposti dipende dall’ abilità e dalla prontezza del soggetto a rappresentare mentalmente in maniera adeguata le idee che vengono suggerite.
L’ abilità e la prontezza di risposta è ovviamente correlata ad attitudini, motivazioni e aspettative e più questi aspetti avranno caratteristiche orientate all’ esperienza da realizzare più la risposta sarà immediata ed efficace.
E perché tali aspetti assumano caratteristiche adeguate è necessario che il soggetto creda fermamente a quello che gli viene chiesto di fare.
Credere fermamente vuol dire avere la sicura convinzione che ciò che è immaginato avverrà.
A proposito delle potenzialità d’apprendimento, va ricordato che apprendere significa acquistare nuove modalità di comportamento sia a livello cognitivo che a livello sensomotorio e cinestesico. Apprendere consiste nella formazione di nuove sintesi e di nuove strutture.
Per un approfondimento della teoria dell’ apprendimento si rimanda ai testi di psicologia , in questa sede è utile ricordare che, sebbene non ce ne rendiamo spesso conto, l’ apprendimento è un fenomeno che permea la nostra vita. Può avere luogo come una impressione accidentale, o una associazione di stimoli e risposte.
Vi sono diverse modalità per apprendere.
Una modalità di apprendimento è detta: apprendimento per associazione.
Il concetto di associazione è stato introdotto da Aristotele dopo aver osservato che quando noi cerchiamo nella memoria un’informazione, la ricerca è agevolata se riusciamo a ricordare un’informazione che abbia con quella che stiamo cercando delle relazioni di somiglianza, di contrasto o di contiguità, sia nel tempo sia nello spazio.
Somiglianza, contrasto e contiguità sono considerate le leggi primarie dell’ associazione.
Altra modalità di apprendimento è il condizionamento.
Alla fine del secolo scorso Pavlov fece ricerche sui riflessi condizionati.
Quando un cane ha fame l’ introduzione in gola di cibo, di un liquido acido o anche solo l’ odore del cibo provocano secrezione salivare. La produzione di saliva è raccolta e misurata grazie all’ introduzione di una cannula nel canale escretore delle glandole salivari.
La produzione di saliva alla presentazione del cibo è un riflesso innato quindi una risposta non condizionata a uno stimolo non condizionato.
Se allo stesso cane nelle stesse condizioni invece di presentare del cibo si accende una lampada, l’ animale girerà la testa verso la luce senza alcuna secrezione salivare. Rispetto alla salivazione la luce è uno stimolo inadeguato.
Nel procedere dell’ esperimento si presenta contemporaneamente al cane cibo e luce, ripetendo la presentazione dei due stimoli per qualche tempo, ogni volta si ottiene salivazione.
In una fase successiva si presenta al cane soltanto la luce e si osserva che il cane secerne saliva come se fosse stato presentato anche il cibo. La luce è diventato uno stimolo condizionato per la salivazione, e la salivazione che si ha come risposta alla luce è detto riflesso condizionato.
Il riflesso condizionato persiste per un certo tempo e le leggi che ne regolano la comparsa e la soppressione sono state dettagliatamente studiate dalla psicologia sperimentale.
Il condizionamento studiato da Pavlov è detto condizionamento classico. Skinner ha elaborato il concetto di condizionamento operante che descrive l’ apprendimento di comportamenti che vengono messi in atto al fine di ottenere una ricompensa o evitare un dolore o una punizione.
Questa modalità di apprendimento è detta apprendimento per tentativo ed errore.
In questo tipo di apprendimento è importante il rinforzo (qualsiasi evento che nelle stesse situazioni od in situazioni analoghe aumenta la probabilità di comparsa della risposta che lo ha provocato) che può essere positivo (rafforza l’ attività che conduce alla presentazione dello stimolo) o negativo (rafforza le risposte che portano all’ allontanamento dello stimolo).
Altra modalità di apprendere è l’ apprendimento per intuizione.
Un animale posto davanti ad una scatola contenete del cibo e che possa essere aperta solo per mezzo di una data manipolazione, tenterà tutte le manipolazioni possibili e imparerà la manipolazione corretta dopo una serie di tentativi, che si risolveranno in insuccessi fino a che non si presenterà la soluzione giusta.
Spesso, dopo qualche prova infruttuosa, bruscamente il soggetto effettua il movimento corretto. È come se tutto d’un tratto avesse avuto un’ illuminazione.
In tale contesto si parla di apprendimento per intuizione o insight.
È ovvio che detto apprendimento è possibile solo nel caso siano accessibili tutti gli elementi necessari alla risoluzione del problema.
In ogni apprendimento si possono distinguere tre stadi fondamentali.
Il primo è la motivazione che mette in azione il comportamento e lo indirizza allo scopo.
Il secondo è quello della variabilità dei tentativi. Il comportamento del soggetto, sostenuto dalla motivazione, tende mediante tentativi ed errori a raggiungere lo scopo.
Il terzo stadio è quello della selezione, o apprendimento della risposta corretta.
Rispetto al processo di apprendimento occorre ricordare che esistono delle differenze individuali notevoli.
I fattori, studiati dalla psicologia, che intervengono nel processo possono essere schematicamente distinti in fattori dipendenti dal soggetto e fattori relativi alle condizioni dell’ esperienza.
Fattori individuali:
* Età. In qualunque tipo di apprendimento gli adulti ancora giovani apprendono meglio e prima dei soggetti molto giovani e dei soggetti anziani.
* Intelligenza. La velocità di apprendimento è proporzionale all’ intelligenza del soggetto.
* Motivazione. Una motivazione di livello medio migliora l’ apprendimento. Esso è molto più lento se la motivazione è troppo debole o troppo forte.
* Partecipazione. La partecipazione cosciente e attiva del soggetto ha una grande importanza.
* Esperienza precedente. L’ apprendimento di un certo compito non sviluppa nel soggetto capacità generale ad apprendere ma prepara il soggetto ad affrontare situazioni analoghe.
Fattori relativi alle condizioni dell’ esperienza:
* L’ apprendimento distribuito (alternare le prove con periodi di riposo) è in ogni caso più efficace dell’ apprendimento concentrato (ripetere le prove senza interruzione).
* Ricompensa. Rinforzo. In ogni apprendimento è richiesta una motivazione e al fine una ricompensa (Rinforzo). Il rinforzo serve a fissare lo scopo dell’ apprendimento e a scegliere la risposta adeguata che è stata rinforzata. Ricompensare la risposta corretta è un rinforzo positivo, punire la risposta errata è un rinforzo negativo. La conoscenza dei risultati ottenuti nel corso dell’ apprendimento costituisce un rinforzo.
* Inibizione ed estinzione. Ogni comportamento appreso, soprattutto se l’ apprendimento è all’ inizio, può essere cancellato temporaneamente da una modificazione, anche poco importante dell’ ambiente. Questo fenomeno è detto inibizione temporanea. Va ricordato che un comportamento appreso, se non viene rinforzato, tende ad estinguersi progressivamente.
* Generalizzazione e transfert. Un bambino che ha imparato a evitare la fiamma di un fiammifero perché si è scottato eviterà anche la fiamma di un fornello. Tale fenomeno è detto generalizzazione. L’ apprendimento non riguarda soltanto lo stimolo specifico ma anche gli stimoli che gli sono sufficientemente somiglianti.
La differenziazione è un processo opposto a quello della generalizzazione. Se in un soggetto la risposta ad un suono di una certa frequenza è rinforzata positivamente e il suono di una frequenza vicina è rinforzata negativamente il soggetto imparerà a differenziare i suoni vicini a quello originario e questo sarà possibile fin dove le capacità percettive del soggetto permettono la distinzione fra i due stimoli.
Alla questione della generalizzazione è collegato il transfert (da non confondere con il concetto di ‘transfert’ di scuola psicanalitica).
Si parla di transfert positivo quando un apprendimento precedente favorisce l’ acquisizione di un nuovo comportamento e di transfert negativo quando si determina, al contrario, un’interferenza. Il transfert positivo è efficace a condizione che l’ apprendimento iniziale non sia troppo avanzato.
Strategie e Tecniche di gestione della Gèniosi
Strategia e tecniche di gestione della gèniosi

Si sa ormai con certezza, in seguito alle indagini sperimentali svolte in qualificati centri universitari e ospedalieri, che tutte le funzioni del nostro organismo, sia esterne che interne, possono essere influenzate dalla psiche.
La gèniosi è “potenzialità dell’ immaginazione” (Monoideismo plastico). È modo di funzionare normale dell’ organismo, ovviamente, il più delle volte, non “gestito consapevolmente”.
Obiettivo delle tecniche impiegate perché la gèniosi sia, è quello di aiutare il soggetto ad attivare e gestire le modalità utili affinché l’ ideoplasia orientata al soddisfacimento del bisogno sia realizzata; prima con l’ aiuto del terapeuta (gèniosi), poi autonomamente (autogèniosi).
Una presentazione delle metodiche utilizzate in passato, fin da quando si è scritto di magnetismo, può essere utile ad evidenziare le caratteristiche peculiari della relazione operatore-soggetto in maniera da definire una “strategia”.

Curiosità storiche.

Deleuze , nella prima metà del IXX secolo, scriveva: “Tosto che sarete di accordo, e risoluto di trattar seriamentte le cose, allontanate dall’ infermo tutte le persone che potrebbero frastornarvi; non tenghiate al vostro fianco che i testimoni necessari (uno solo, se è possibile), e raccomandate loro di non occuparsi affatto delle pratiche che voi adoperate e delle conseguenze che ne risulteranno, ma di unire alla vostra anche la loro volontà di far del bene all’ infermo. Accomodatevi in modo tale da non soffrir ne troppo caldo ne troppo freddo, acciò che nulla impedisca la libertà dei vostri movimenti, e prendete delle precauzioni a fin di non essere interrotto nella vostra seduta. Fate in seguito sedere il vostro infermo quanto più comodamente è possibile, e mettetevi rimpetto a lui, sopra una sedia un poco più alta, e in modo che le sue ginocchia siano tra le vostre e che i vostri piedi siano vicini ai suoi. Raccomandategli pria di tutto di non pensare a nulla, di non distrarsi esaminando gli effetti che proverà, di allontanare ogni tema, di aprire il cuore alla speranza, di non infastidirsi o scorarsi se l’ azione del magnetismo produca in lui dei momentanei dolori.
Dopo aver raccolto il vostro animo, prendete i suoi pollici nelle vostre dita, in modo che l’ interno dei vostri pollici tocchi l’ interno dei suoi, e fissate i vostri occhi su di lui. Restate dai due ai cinque minuti, o finché voi non sentiate di essersi stabilito un calore uguale tra i suoi pollici e i vostri: fatto ciò, ritirate le vostre mani a destra e a sinistra girandole in modo che la superficie interna stia al di fuori, e le solleverete fino all’ altezza del capo; allora le poggerete sulle due spalle, ve le lascerete per un minuto, e le striscerete lungo le braccia fino all’ estremità delle dita, toccando leggermente. Ricomincerete questa passata cinque o sei volte, rivolgendo le vostre mani e allontanandole un poco dal corpo nel risalire. Porrete in seguito le vostre mani sul capo, ve le terrete un momento, e le farete scendere passandole innanzi al volto alla distanza di uno o due pollici fino alla bocca dello stomaco: là vi arresterete circa due minuti poggiando i pollici sulla bocca dello stomaco e le altre dita sotto le coste. Poi le scenderete lentamente lungo il corpo fino alle ginocchia, o piuttosto, se potete farlo senza incomodo, fino all’ estremità dei piedi. Ripetete le stessa cosa durante la maggior parte della seduta. Vi avvicinerete anche talvolta all’ infermo in guisa che poggiate le vostre mani dietro le sue spalle per scenderle lentamente lungo la spina dorsale, e di là su le anche, e lungo le cosce fino alle ginocchia o fino ai piedi. Dopo le prime passate, potete dispensarvi dal poggiar le mani sul capo, e far le passate seguenti sulle braccia cominciando dalle spalle, e sul corpo cominciando dallo stomaco”.
Il metodo descritto da Deleuze era il metodo che si consigliava di seguire quando si iniziava a magnetizzare. A.Teste, nel suo “Manuale pratico di magnetismo animale” scriveva: “Ordinariamente io sto in piedi innanzi all’ individuo che voglio magnetizzare, ed anche ad una certa distanza da lui; dopo alcuni minuti di raccoglimento di spirito che debbono precedere ogni esperienza, io alzo la mia mano destra all’ altezza della sua fronte, e dirigo lentamente le mie passate dall’ alto in basso, innanzi al volto, al petto e al ventre; solamente, ogni volta che sollevo la mia mano, ho la cura di lasciar cadere le mie dita in tal guisa che la loro faccia dorsale guardi il magnetizzato durante il mio movimento di ascensione, e la loro faccia palmare durante le passate.”
Una delle tecniche più pronte e più energiche descritte è quella della “magnetizzazione sul capo”. Il terapeuta si siede di fronte al soggetto che vuole magnetizzare. Per cominciare fa alcune lunghe passate dall’ alto in basso, nella direzione delle braccia, dinanzi al volto e seguendo l’ asse del corpo. Dopo di che fa scendere entrambe le mani alla distanza di qualche centimetro dalla fronte e dalle regioni parietali, rimando poi fermo per alcuni minuti. Finché dura l’ operazione è opportuno variare di poco la posizione delle mani, spostandole lentamente a destra e a sinistra, poi all’ occipite per tornare alla fronte, dove vanno lasciate indefinitamente, finché il soggetto non si sia addormentato .
La magnetizzazione attraverso lo sguardo è un’altra tecnica, che è detto non può essere usata da tutti. Essa richiede in colui che la vuole usare uno sguardo vivo, penetrante e capace di una lunga fissazione. L’ operatore di siede di fronte al soggetto e gli consiglia di guardarlo negli occhi nella maniera più fissa possibile e lui non distoglierà mai lo sguardo. Dopo un po’ il soggetto farà alcuni profondi respiri, poi le sue palpebre incominceranno a sbattere convulsamente, si bagneranno di lacrime e si chiuderanno.
Sono descritte modalità di magnetizzazione con il solo impiego della volontà da parte dell’ operatore anche senza che il soggetto ne sia informato.
La discussione di tale modalità ci trascinerebbe in questioni che, se anche molto interessanti, ci distoglierebbero dall’ argomento specifico di questo libro.
Il lettore incuriosito dall’ argomento sappia che esistono relazioni scritte di esperienze fatte all’Hotel Dieu di Parigi da Du Potet sotto il controllo e la direzione di Husson.

Le tecniche dei primi “ipnotisti”.

I magnetizzatori credevano di dover far entrare i loro soggetti in uno stato di “trance”, una specie di sonno, e che ciò fosse possibile tramite la trasmissione di “fluido”, una forza emanante dalla loro persona. Gli ipnotisti rifiutarono la tesi del “fluido” permettendo così alla gèniosi di essere impiegata e studiata in ambiente scientifico ; ma anch’essi concepirono la gèniosi come uno stato simile al sonno, pertanto elaborarono metodiche che favorissero il sonno nei loro pazienti.
L’ Abate Faria faceva comodamente sedere il soggetto, gli suggeriva di chiudere gli occhi, e dopo alcuni minuti di raccoglimento di spirito. Diceva con voce forte e imperativa: “Dormi!” Questa semplice parola, pronunziata in un silenzio prestigioso e solenne da un uomo di cui si narravano prodigi, produceva ordinariamente sul paziente un’impressione tanto viva da indurre in tutto il suo corpo una leggera scossa, del calore, del sudore e talvolta il sonnambulismo.
Se il primo tentativo non riusciva, egli sottometteva il paziente ad una seconda e poi ad una terza, e anche ad una quarta prova, dopo di che lo dichiarava incapace di entrare nel “sonno lucido”.
Bernheim nel 1884 descriveva così la sua modalità di indurre la gèniosi: “Mi guardi bene e pensi solo a dormire. Si sentirà le palpebre pesanti, gli occhi stanchi; i suoi occhi battono, si stanno inumidendo; la vista si fa confusa; gli occhi si chiudono”. Alcuni soggetti chiudono gli occhi e dormono immediatamente. In altri ripeto la stessa formula aggiungendo dei gesti, non importa quali. Metto due dita della mano destra davanti agli occhi del soggetto e invito a fissarle, oppure gli passo più volte le mani davanti agli occhi dall’ alto in basso o ancora lo invito a fissarmi negli occhi e contemporaneamente cerco di concentrare tutta la sua attenzione sull’ idea del sonno. Dico: “Le sue palpebre si stanno chiudendo; lei non riesce a riaprirle. Sente pesantezza alle braccia, alle gambe; non sente più niente, le sue mani rimangono immobili; lei non vede più niente; viene il sonno”; e con un tono un po’ imperioso aggiungo: “Dorma”. Spesso questa parola è determinante, gli occhi si chiudono, il malato dorme. Se il soggetto non chiude gli occhi o non li conserva chiusi non insisto a fargli fissare le mie dita o i miei occhi, perché ci sono persone che tengono gli occhi spalancati all’ infinito e invece di concepire l’ idea del sonno non pensano che a fissare rigidamente: in questi casi dà risultati migliori la chiusura passiva degli occhi. Dopo 2 - 3 minuti al massimo abbasso lentamente e delicatamente le palpebre sui globi oculari fino a chiuderle, imitando quanto si produce quando il sonno viene spontaneamente; le tengo chiuse e continuo la suggestione: “Le sue palpebre sono incollate; lei non riesce più ad aprirle; il bisogno di dormire si fa sempre più imperioso. Lei non riesce più a resistere”. Pian piano abbasso la voce e ripeto l’ ingiunzione: “Dorma”. Quasi sempre il sonno sopraggiunge in capo a 4-5 minuti. Questo è il sonno da suggestione; io insinuo nel cervello l’ immagine del sonno.
In alcuni soggetti si ha più successo procedendo con dolcezza, in altri, ribelli alla suggestione dolce, adottando il tono brusco, autoritario, per reprimere la tendenza al riso e la velleità di involontaria resistenza che questa manovra può provocare.
In soggetti apparentemente refrattari spesso ho avuto successo mantenendo gli occhi chiusi per molto tempo, imponendo il silenzio e la immobilità e parlando continuamente e ripetendo le stesse formule: “Lei avverte torpore; le braccia e le gambe sono immobili; ecco, sente caldo alle palpebre; il sistema nervoso si calma; lei non ha più volontà; i suoi occhi rimangono chiusi; viene il sonno ecc.”. dopo 8-10 minuti di questa prolungata suggestione uditiva ritiro le dita; gli occhi rimangono chiusi; alzo le braccia, rimangono alzate: è il sonno catalettico.”
Di metodiche nel corso degli anni se ne sono elaborate molte: tecniche autoritarie, tecniche permissive, dirette, indirette, per suggestione esplicita o mascherata; non mi pare però utile riportare altri esempi in quanto qualsiasi buon manuale ne descrive diverse.
Quali tecniche si impiegano oggi.

Va detto che le tecniche di “induzione” che si utilizzano oggi non sono che continue rielaborazioni, aggiustamenti, adattamenti alle personalità dei singoli operatori, delle tecniche passate; e sebbene si sappia con certezza che la gèniosi non ha nulla a che spartire con il sonno fisiologico molti operatori usano ancora vocaboli del tipo: “addormentare” e “risvegliare”; pensando alla gèniosi come uno “stato psicofisiologico” rigido da ottenere con una metodica particolare, per poi utilizzarlo a “far terapia”, quasi fosse una siringa nella quale immettere la suggestione da trasferire al paziente. E anche chi non dice più che il paziente va addormentato usa come modalità per ottenere “lo stato” tecniche di rilassamento e parla ancora di approfondimento della trance e usa tecniche per approfondire.
Erickson, aveva un approccio particolare alla gèniosi diverso dalla maggioranza degli europei, ma anche lui finisce nel tranello dello “stato di ipnosi” (siringa) e dei livelli di profondità.
Tale modalità di concepire la gèniosi fa sì che si associno certi comportamenti realizzabili ad altrettanti stati della gèniosi e si debbano elaborare tecniche per raggiungere i diversi stati.
Solo in tale contesto hanno senso termini del tipo: “induzione di trance” e “approfondimento della trance”.
Si trovano ancora in pubblicazioni recenti riferimenti all’ utilizzo delle scale di ipnotizzabilità e scritti che suddividono le tecniche della gèniosi in tecniche di suggestionabilità, tecniche per l’ induzione e tecniche per l’ approfondimento.
L’ unico, che si sappia, che non si limita a fare affermazioni del tipo: “non nutro una grande fiducia circa l’ attendibilità delle scale di ipnotizzabilità”, anche se nei suoi scritti continua a classificare la gèniosi in leggera, media e profonda (sonnambulica), ma affermi la difficoltà di costruzione di scale in quanto la realizzazione di comportamenti particolari da parte del soggetto non è da ricondurre alla “profondità della trance” ma alla “specifica costituzione organica e viscerale” del soggetto stesso, è Granone.
La consapevolezza dell’ inutilità del concetto di “stati di profondità della gèniosi”, correlati alla realizzazione dei comportamenti possibili, libera dalla necessità di ricercare sempre stati di maggior profondità della gèniosi e apre nuovi orizzonti.

Che dire di nuovo.

Se la gèniosi è quanto si è cercato di affermare nel primo capitolo, non è uno stato rigido da ricercare (trance) per poi inserire suggestioni, ma è un modo di funzionare dinamico caratterizzato dall’ orientamento della potenzialità della rappresentazione mentale del soggetto.
La partecipazione coscienza - corpo, non è una dimensione da cercare o da indurre, o da costruire, è una realtà e basta! Ed è detta partecipazione nei suoi dinamismi che si esprime sempre e comunque, attraverso modalità consce e inconsce che si può cercar di conoscere sempre più dettagliatamente in modo da poterla gestire consapevolmente con finalità di aiuto e terapeutiche.
Un aspetto del legame coscienza - corpo è la rappresentazione mentale nella sua espressione plastica in tutte le componenti dell’ organismo e la parola proposta già da Braid e ripresa da Granone: “monoideismo plastico” o quella proposta da Bernheim “ideodinamismo” ne esprimono l’ essenza.
Per non indurre confusione e non rifiutare gli aspetti utili di quanto è stato scritto e detto dai ricercatori del passato che hanno definito il fenomeno prima magnetismo e poi ipnosi, è sufficiente accordarci sul fatto che la rappresentazione mentale che si manifesta plasticamente attraverso un’operazione psicofisiologica che viene suggerita da altra persona la definiamo, per convenzione, gèniosi, o autogèniosi se la medesima manifestazione psicofisiologica è determinata attraverso un atto volontario senza l’ intervento di altra persona, e questo avrebbe senso perché detto termine nel suo significato definisce meglio il fenomeno come oggi è concepito dal Centro Italiano di Ipnosi Clinica e Sperimentale (CIICS).
Tale accordo eviterebbe le controversie relative al concetto di “trance”. Se di trance ipnotica si vuol parlare si dovrà dire che essa è tutte le volte che si esprime plasticamente un monoideismo, e questo potrebbe o non potrebbe aver nulla a che spartire con la trance spiritica, la trance estatica o qualsiasi altra forma di stato di coscienza diverso.
In qualsiasi stato di coscienza diverso dallo stato ordinario di veglia, avvenga un monoideismo plastico, per atto volontario o perché suggerito da altri, siamo, per definizione condivisa, in stato di gèniosi; ossia è in atto il dinamismo psicofisico descritto.
Il nuovo criterio di approccio alla gèniosi che si propone, fa superare di un sol balzo tutte le polemiche su chi è ipnotizzabile, su qual è la percentuale statistica delle persone che possono essere assoggettate a terapia con ipnosi, su quale profondità di ipnosi è necessario raggiungere perché un soggetto possa realizzare analgesia, amnesia o i vari comportamenti che si potrebbero ipotizzare.
Tutte le persone possono “manifestare gèniosi”.
Ovviamente perché ogni persona è un organismo che si esprime attraverso il corpo, la psiche e il suo sistema di valori. Tutti esprimiamo idee attraverso rappresentazioni mentali, e tutte le rappresentazioni mentali di certa valenza si manifestano plasticamente. Anche se non tutte le persone sono in grado di gestire le rappresentazioni mentali con la valenza adeguata alla manifestazione plastica da raggiungere. Ne fanno testimonianza le diversità di predisposizione genetica e gli apprendimenti realizzati nel corso dell’ esperienza storica. (È anche vero che quanto non si sa ancora fare si potrebbe sempre apprendere) .
Se non si deve “indurre uno stato” per ottenere comportamenti terapeutici; in gèniosi, che si fa?
Si insegna alle persone ad impiegare consapevolmente la potenzialità della loro rappresentazione mentale al fine di raggiungere obiettivi precisi.
Ci si può rendere conto di come tutte le tecniche elaborate in passato, comprese le tecniche del magnetismo, possano essere recuperate e integrate al bisogno in un processo di lavoro orientato alla gestione del monoideismo plastico ai fini dell’ aiuto.
Non più l’ energia del magnetizzatore che per se stessa cura, non più lo stato di ipnosi che permette la cura, ma l’ impiego consapevole di una potenzialità della partecipazione coscienza-corpo finalizzata ad un preciso lavoro su di sé.
Prima di passare all’ argomento successivo forse è utile a questo punto uno schematico confronto fra la superata, dal nostro punto di vista, concezione di ipnosi e quella che da noi viene proposta con il termine gèniosi.

IPNOSI – GÈNIOSI =
Ieri: Magia, Magnetismo, Sonno particolare, Suggestione, Isteria sperimentale, Stato particolare di coscienza.
Oggi: Fatto biologico, Dinamismo psicosomatico di partecipazione mente – corpo esprimente il potere dell’ immagine mentale.

STATO IPNOTICO detto anche TRANCE =
Ieri: Non ben definito, da ottenere con le procedure standardizzate dell’ induzione e inteso come una siringa in cui immettere la suggestione (il comando) da realizzare.
Oggi: Condizione particolare di accoglienza dell’ informazione proposta e focalizzazione adeguata dell’ attenzione su un’unica idea (monoideismo).


INDUZIONE DELL’ IPNOSI =
Ieri: Tecniche standardizzate, passi, rilassamento, catalessi palpebre, levitazioni, visualizzazioni di vario tipo.
Oggi: Relazione operatore-soggetto orientata all’ accordo sull’ obbiettivo e alla focalizzazione dell’ attenzione attivatrice dell’ ideoplasia.

IPNOTISMO =
Ieri: Induzione + Comandi e suggestioni.
Oggi: Gestione finalizzata dell’ energia trasformatrice attivata mediante accoglienza dell’ obbiettivo e focalizzazione dell’ attenzione. (Plasticità del monoideismo)

AIUTO E TERAPIA =
Ieri: Suggestioni che curano, nell’ ottica del terapeuta. Condizionamenti e decondizionamenti.
Oggi: Proposta di nuova visione del problema.
Liberazione dai condizionamenti. Rielaborazione significati patogeni.

PROFONDITA’ DELL’ IPNOSI =
Ieri: Diversi livelli ottenibili con successive induzioni.
Oggi: Suggestionabilità d’organo e apprendimento.






Come padroneggiare la gèniosi.

Il tentativo che ora si desidera compiere, nell’ illusione di poter essere di aiuto a chi si impegna nell’ arte della gèniosi, perché è proprio di arte che si tratta, è illustrare una strategia per padroneggiare la dinamica del fenomeno, anche se poche sono le regole e gli strumenti codificabili in maniera precisa.
Gèniosi è monoideismo plastico.
Prima regola è avere ben chiaro e ben definito l’ obiettivo da raggiungere.
Qual è l’ idea che deve esprimersi plasticamente; ossia, qual è il comportamento da realizzare e qual è la rappresentazione mentale che la definisce in maniera adeguata.
Seconda regola è che l’ idea da realizzare deve essere fatta propria dal paziente perché possa attivarsi il dinamismo coscienza - corpo atteso.
Terza regola è che, perché la rappresentazione mentale possa essere espressa in termini fisici e/o di comportamento deve essere “carica della valenza giusta”.
Quarta regola, non per importanza, ovviamente, è che l’ azione definita dall’ obiettivo deve essere di possibile realizzazione per il paziente in virtù della sua costituzione psicofisica e delle sue potenzialità di apprendimento.
Trascrivo alcuni brani tratti da un testo di fantasia del secolo scorso: "Evangelo di Giacomo" , dal quale è possibile enucleare “gli ingredienti utili” a padroneggiare la gèniosi (anche se ovviamente nel testo non si parla né di magnetismo, né tantomeno di ipnosi).
Si racconta di Gesù bambino che, con il padre Giuseppe fa visita ad un medico amico, direttore di un piccolo ospedale. Il bimbo passa fra i malati dialogando con essi. In seguito alla richiesta di aiuto da parte di una fanciulla paralitica la risana.
“Ma quando il medico ebbe veduto che la fanciulla da lui dichiarata assolutamente inguaribile era miracolosamente risanata, egli non poté capacitarsene in verun modo.
Pel grande stupore gli mancò quasi il respiro, ed egli disse a Giuseppe: - O fratel mio! Ti prego, allontanati da qui; perché un'angoscia grande invade il mio cuore!
Essendo io uomo peccatore, mentre nel tuo Bambino aleggia manifestamente lo Spirito del Signore.
Ora, come può un povero peccatore assistere al cospetto dell’ onniveggente ed onnipotente Spirito dell’ altissimo?!-
Ma allora il Bambino corse dal medico, e gli disse: - O uomo! Perché diventi ora stolto, e perché hai timore di Me?
Cosa mai ti ho fatto di male, che tanta angoscia ti coglie ora dinanzi a Me?
Credi tu forse che la guarigione della fanciulla sia stata un miracolo?
Io ti dico: Per nulla affatto; prova tu pure a curare in questo modo gli altri ammalati, ed essi miglioreranno.
Va lì, desta in loro la fede, imponi poi loro le mani, ed essi guariranno all’ istante.
Ma prima devi credere tu stesso fermamente che tu li puoi aiutare in tal modo, anzi che con tutta sicurezza li aiuterai. -
Il medico, udite queste parole del Bambino, concepì ferma fede, si avvicinò agli ammalati, e fece loro come il Bambino gli aveva consigliato.
Ed ecco che tutti gli ammalati furono guariti all’ istante. Essi pagarono al medico il suo onorario, e lodarono e glorificarono Iddio per aver Egli concesso all’ uomo una tale potenza."
Dal testo citato è possibile rilevare indicazioni operative.
Se un operatore vuole aiutare un soggetto a realizzare su di sé la gèniosi deve, prima di ogni cosa, credere fermamente a quello che fa e avere certezza che, quanto propone, sia realizzabile. Credere a quel che si fa è un atteggiamento indispensabile all’ operatore in ogni relazione di aiuto psicologico perché l’ alchimia riesca; e il più delle volte, detto atteggiamento, è dato superficialmente per scontato.
Ricordo a tale proposito una collega, medico, in formazione analitica, che non credendo veramente che le verruche potessero essere eliminate tramite un adeguato monoideismo, non riuscì mai in tale tentativo finché non ebbe occasione di sperimentarne la concretezza assistendo al trattamento riuscito, realizzato da un altro operatore esperto.
Perché si attivi la condizione favorevole all’ azione in obiettivo, non è sufficiente che a credere sia solo l’ operatore. È fondamentale che anche nel soggetto esista profonda certezza nella “cura” e fiducia nell’ operatore e che sia quindi libero da ogni atteggiamento critico.
Nel paziente deve svilupparsi la convinzione nella possibilità concreta di realizzazione di quanto l’ operatore gli propone. ("Va lì, desta in loro la fede").
Perché esista la valenza giusta, occorre che il paziente attivi tutta la sua energia di attenzione sulla rappresentazione mentale dell’ unica e precisa idea da realizzare. ("Imponi poi loro le mani").
Ovviamente la conferma della riuscita dell’ intervento è data dalla risposta, dall’ obiettivo raggiunto ("Ed essi guariranno all’ istante").
Vediamo un po’ più nel dettaglio e in termini pratici come operare.
Si propone a chi volesse impiegare la gèniosi professionalmente di memorizzare il seguente acrostico:

A.M.A.R.E.

Ogni lettera di tale parola rimanda all’ iniziale dei contenuti che occorre aver sempre presenti per poter riuscire nell’ impiego della gèniosi.

1. A = Accettazione obiettivo.
2. M = Mono Idea.
3. A = Attenzione mirata.
4. R = Risposta
5. E = Evidente.

Certo di voler aiutare l’utente e consapevole della potenzialità e dei limiti dei suoi strumenti, la prima operazione che l’ operatore deve fare è aumentare la fiducia del soggetto.
Far sì che la fiducia aumenti nella persona con la quale si desidera impiegare la gèniosi vuol dire aiutarla a diminuire il suo atteggiamento critico. Ma attenzione: molte sono le modalità che possono essere impiegate per far sì che una persona rinunci alla sua critica e accetti (direbbero i neurofisiologi: “riduca l’ attivazione dell’ emisfero sinistro”). Non tutte, però, possono essere concepite nell’ ambito della relazione d’aiuto.
Le modalità di relazione operatore-soggetto rivolte all’ accettazione dell’ obiettivo possono essere fatte rientrare nei seguenti capitoli:

• Collaborazione empatica.
• Raggiro e inganno
• Violenza

Attraverso la prima modalità il soggetto si sente capito, amato e non minacciato; riduce allora volontariamente il suo atteggiamento critico e di diffidenza; poco per volta si lascia andare ed assume un atteggiamento d'attesa volto alla collaborazione rispetto a quanto gli viene suggeri¬to.
Rientra in questa modalità la tecnica di induzione detta di ricalco e guida elaborata da Bandler R. e Grinder J. che consiste nell’ accettare quanto il soggetto propone a livello di comportamento ricalcandolo verbalmente, o anche non verbalmente, per poi lentamente suggerire comportamenti nuovi con transizioni dolci.
Il raggiro è una delle modalità più utilizzate per ridurre la critica per le induzioni di gèniosi nelle rappresentazioni teatrali.
La fiducia del soggetto viene ottenuta con l’ impiego di trucchi fisiologici e/o psicologici; ne sono un esempio la fissazione dello sguardo per provocare stanchezza, la compressione dei globi oculari in senso latero-mediale, alla ricerca del riflesso oculo-cardiaco di Dagnini-Aschner e la tecnica della confusione elaborata da M.Erickson.
Con la violenza si uccide la critica obbligando il soggetto a rinunciarvi; possono rientrare in detta modalità violenta la tecnica della fascinazione e la tecnica della compressione del seno carotideo; quest’ultima causa nel soggetto una reazione vagale con rallentamento dei battiti cardiaci, obnubilamento del sensorio e senso di angoscia.
Ovviamente, se l’ impiego della gèniosi è finalizzato alla psicoterapia o in una relazione d’aiuto psicologico, l’ unica modalità da utilizzare è, la prima; non si attiverebbero sicuramente le condizioni descritte nel prossimo capitolo con raggiri e violenze.
Focalizzare l’ attenzione è la modalità indispensabile perché il monoideismo si manifesti plasticamente.
L’ attenzione è possibile indirizzarla e focalizzarla in diversi modi; quelli utilizzati in prevalenza sono la parola e i diversi passi. Entrambi orientano la rappresentazione mentale.
(Anche l’ imposizione delle mani è un modo per attrarre l’ attenzione in particolare sul settore dell’ organismo che necessita di essere "curato").
Per quanto concerne, l’ immaginare, il dar corpo ad un pensiero nella nostra mente, occorre ricordare che le modalità psicologiche prevalenti di rappresentare mentalmente, in ognuno di noi, sono diverse.
Esistono persone che visualizzano facilmente, altre che elaborano l’ informazione in modalità uditiva, altre in modalità olfattiva, altre in maniera tattile e la maggioranza in modo misto. Già Schultz nell’ elaborare il suo metodo, si era reso conto di quanto fossero diverse le persone nel loro far pensieri, e di quanto fosse importante per l’ operatore, tenerne debito conto.
Il pensiero prende corpo nella nostra mente attraverso l’ elaborazione delle informazioni immagazzinate in memoria; informazioni rilevate nella nostra storia personale tramite gli organi di senso.

L’ attivarsi dell’ ideoplasia, l’ avvenuta gèniosi, è confermata dall’ evidenza della risposta.
Se l’ obiettivo non è raggiunto è mancata l’ abilità del paziente a trasformare l’ idea in azione, e questo perché una delle regole descritte non è stata rispettata in maniera adeguata.
O non è stato ben definito l’ obiettivo da raggiungere.
O l’ obiettivo è stato rifiutato consciamente o inconsciamente dal paziente.
O la caratterizzazione dell’ obiettivo in termini di rappresentazione mentale è mancata della sufficiente carica espressiva utile a renderla attiva.
O l’ azione è risultata impossibile al momento per l’ organismo del paziente. Se tale azione rientra nel contesto delle reali potenzialità del paziente stesso, non è ancora stata appresa.
L’ operatore ricordi sempre che se la gèniosi non è realizzata, forte è la tentazione di affermare che l’ insuccesso è da demandare a limiti del paziente. L’ operatore deve sempre chiedersi se tutto quel che sa sulla dinamica della gèniosi è stato da lui impostato e gestito correttamente. Non si demoralizzi subito di fronte agli insuccessi, poco alla volta, l’ impegno, la serietà degli intenti, l’ esperienza, la conoscenza e la correzione degli errori, verrà in suo aiuto.


Due parole sul rilassamento e sul silenzio.

Molti ipnotisti delle ultime generazioni, pur consapevoli che la gèniosi è cosa diversa dal sonno, usano iniziare il paziente alla gèniosi attraverso l’ impiego di tecniche di rilassamento. Tale modalità ha la sua importanza e la sua giustificazione.
Si è detto che la rappresentazione mentale, l’ immagine mentale, il pensiero sono una forza. E lo sono in particolare se esprimono in maniera focalizzata l’ energia della coscienza dell’ essere.
La coscienza di pensare è l’ azione in embrione; e più il pensiero è circoscritto, preciso, unico, carico di significato, più è ricco di forza interna per l’ espressione della coscienza
Perché la gèniosi, o l’ autogèniosi, possa essere realizzata deve essere chiaro per l’ operatore qual è il pensiero realmente efficace: il giusto pensiero.
Il pensare nervoso, incerto, superficiale, agitato, distratto, senza chiarezza, che scivola da un contenuto all’ altro, non guidato, è un pensiero povero di energia realizzatrice.
Il pensare deve essere affermativo, deciso, chiaro nella sua finalità.
Il pensiero esprime la sua potenza quando è unico ad occupare la mente. Quando è unico l’ obiettivo da raggiungere e tutta l’ energia mentale è orientata ad esso, il pensiero si fa plastico, creativo.
La focalizzazione dell’ attenzione è attiva quando è libera da passioni, emozioni e sentimenti fuorvianti quali sono la paura, la preoccupazione nella riuscita, il desiderio.
La rappresentazione mentale trova la sua massima espressione in uno stato equilibrato della mente.
Si comprende facilmente come un “ambiente mentale equilibrato” sia sinonimo di rilassamento, di tranquillità e pace interiore.
E su tale argomento molto ci hanno insegnato le tecniche di rilassamento che sono state messe a punto negli ultimi cinquant’anni.
Il rilassamento fisico è “introduzione” al silenzio interiore.
È nel silenzio della mente che la rappresentazione mentale, l’ immagine, il pensiero esprime la totalità della sua energia.
Il silenzio è non soltanto assenza di rumori esterni, ma assenza di giudizio e passività attenta.

Le potenzialità della gèniosi.

Quanto una persona abbia la possibilità di ottenere impiegando adeguatamente lo stato particolare di partecipazione descritto, oggi non ci è dato sapere.
Tutti i giorni si fanno scoperte nuove.
Da diversi anni ormai esistono corsi per insegnare alle persone a camminare sui carboni ardenti senza ustionarsi.
Di certo sappiamo che il soggetto in gèniosi può modificare la percezione del mondo esterno; può percepire stimoli che in realtà non ci sono e non percepire quelli che sono presenti; può distorcere percezioni di stimoli effettivamente esistenti creando illusioni; è in grado di percepire con maggior penetrazione la realtà al di fuori di lui.
In gèniosi è possibile modificare il vissuto cenestesico; il vissuto di schema corporeo e in particolare è possibile un controllo del dolore. Il soggetto in gèniosi può orientare con facilità la propria introspezione nei diversi settori del suo organismo, può ampliare o ridurre le sensazioni che provengono dall’ interno del suo corpo, può alterare i parametri fisiologici avvertibili come il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la temperatura cutanea.
Con la gèniosi è possibile entrare nella propria storia e variare i criteri di elaborazione dell’ informazione in ingresso; è possibile modificare i significati che il soggetto ha dato in passato alle sue esperienze fruendo delle alternative che possedeva.
Si possono ottenere dei cambiamenti nella continuità della memoria (amnesie parziali o totali).
È inoltre possibile accentuare la possibilità di ricordare; è possibile che il soggetto ricordi esperienze anche molto remote.
I meccanismi psicodinamici regolatori del comportamento sono più accessibili e le resistenze sono più facilmente superate.
In gèniosi la valutazione e la critica sono modificate rispetto allo stato di coscienza ordinaria; pare che vi sia una dominanza di funzionalità dell’ emisfero destro con il suo linguaggio più analogico che digitale.
Vissuti non possibili nello stato di veglia per la dominanza dell’ emisfero sinistro possono attualizzarsi in stato di gèniosi.
L’ emozione è una risposta dell’ organismo ad una certa situazione. Mentre nello stato di veglia il controllo volontario delle emozioni pare essere un compito particolarmente arduo, in gèniosi queste possono essere alterate sia nella direzione dell’ accentuazione sia nella direzione opposta della riduzione; e vi è inoltre la possibilità di passare repen¬tinamente da un'emozione all’ altra.
Attraverso la gèniosi il soggetto può apprendere a smorzare la sua risonanza emotiva.
In tale stato variano i parametri spazio temporali.
Il senso dell’ Io può essere distaccato da un'ampia varietà di tipo di informazioni e situazioni ai quali è normalmente applicato.
In un soggetto in regressione d'età l’ emergere di un ricordo con tonalità affettiva particolarmente coinvolgente può essere vissuto non come esperienza propria ma semplicemente come informazione neutra attinta dalla memoria.
Il senso dell’ Io può anche essere distaccato dal proprio corpo come avviene per la non percezione del dolore.
In gèniosi esiste la possibilità di alterare la qualità e la quanti¬tà del controllo della muscolatura volontaria, della motilità e in particolare di modificare alcune modalità di funzionare del nostro organismo, credute al di fuori di ogni controllo volontario, quali quelle del sistema neurovegetativo, del sistema neuroendocrino e del sistema immunitario.
Tutte le possibilità di comportamento elencate non possono essere ovviamente pensate come realizzabili allo stesso livello da tutti i soggetti, almeno immediatamente, in quanto sono coinvolti predisposizione genetica e tempi di apprendimento.
Come tale potenzialità potrà essere impiegata nella relazione d’aiuto sarà approfondito in un altro capitolo.
Strategia Ipnositerapeutica
Strategia ipnositerapeutica

L’ipnositerapia, com’è da me concepita, consiste nel costruire una relazione terapeuta-paziente attraverso la quale il terapeuta collabora con il paziente al fine di consentire al paziente stesso l'apprendimento di comportamenti più in sintonia con l’esprimersi della Vita che è in lui, attraverso la ristrutturazione del suo sistema di criteri, in quelle parti responsabili della sofferenza, e attraverso l'allenamento consapevole alla sostituzione di abitudini di comportamento inadeguato, con altre più idonee.
Nella terapia il terapeuta mette a disposizione del paziente la propria persona e tutto il suo bagaglio di esperienza.
L’ipnositerapia può essere descrittivamente suddivisa in fasi per renderne più facile la presentazione; anche se, ovviamente, queste fasi non rappresentano dei momenti ben discriminati fra di loro, nettamente distinti temporalmente gli uni dagli altri.
L'intero procedimento può essere così suddiviso:
• La domanda di aiuto e la presa in carico.
• La costruzione della situazione terapeutica.
• La definizione del problema e delle soluzioni tentate.
• Presa di coscienza dei vissuti che generano la sofferenza.
• Scoperta della struttura dei significati patogeni che sostengono la sofferenza.
• Ristrutturazione dei significati generatori di sofferenza.
• Apprendimento e sperimentazione di comportamenti più confacenti allo scopo.
• Termine dell’impegno terapeutico.

Ogni momento richiede un minimo di descrizione.



La domanda di aiuto e la presa in carico.

Nell’ipnositerapia il massimo rispetto della libertà del paziente è fondamentale.
L'aiuto psicologico è possibile tentare di darlo solo se ci viene richiesto. Ogni intervento che prescinda da tale assioma non potrà che risultare improduttivo e solleciterà il paziente ad abbandonare la terapia. Questo perché ogni cambiamento a livello psicologico richiede un impegno nei confronti di se stesso, e l'impegno è possibile solo se è sostenuto da motivazione al cambiamento; e più è impegnativo il cambiamento opportuno, più deve essere grande la motivazione. La motivazione, nella quasi totalità dei casi, è data dallo stato di sofferenza nel quale si trova il paziente.
Se dalla parte di chi chiede aiuto è richiesta una motivazione al cambiamento sufficiente a sostenere l'impegno del lavoro da realizzare su di sé, a colui che si propone di fornire l'aiuto è richiesta la disponibilità e la capacità della presa in carico dell'altro.
La terapia inizia già nel momento in cui squilla il telefono e una persona (paziente) ne cerca un’altra (terapeuta), avendo avuto informazione che questa potrebbe fornirle l’aiuto che le necessita.
Già in questo primo contatto si costruiscono le basi per la continuazione del lavoro in comune.
Il paziente già sa qualcosa del terapeuta, l’ha scelto come possibile operatore che lo può aiutare. L’ha scelto, o perché gli è stato indicato da qualche suo conoscente del quale si fida, o perché ha sentito parlare bene di lui, o perché, per quanto sa, il terapeuta ha fama di esperto riguardo al problema che lo affligge.
Il terapeuta deve saper rispondere da subito alla domanda del pazientee preparare il terreno per una eventuale presa in carico nel caso sia successivamente valutata cosa possibile.
È importante come il terapeuta risponde al telefono, il tono di voce e le parole che usa.
Dalla telefonata, a seconda del comportamento verbale della persona che chiede aiuto, e dalle cose che dice, è possibile rilevare una quantità notevole di informazioni utili alla successiva valutazione del caso.
A proposito del telefono, se non si hanno segretarie, durante il tempo dedicato alla terapia, per evitare di essere sovente disturbati, è utile l'impiego di una segreteria telefonica a tempo pieno che informi sul modo di comunicare direttamente col terapeuta. Un suggerimento potrebbe essere quello di riservare un certo periodo di tempo della giornata alla ricezione di dette telefonate, oppure il terapeuta può fornirsi di un telefono cellulare che terrà acceso quando può rispondere.
Non solo è importante che il terapeuta presti attenzione alle cose che gli vengono dette e alle cose che dice, ma lo è anche, e forse molto di più, quello che il medesimo prova a livello di sentimenti e di sensazioni durante la telefonata. Sentimenti di indifferenza, intolleranza, fastidio, ansia, non sono sicuramente di buon auspicio e non devono essere trascurati ma occorre comprenderne la causa.
La presa in carico è un atto di notevole responsabilità per il terapeuta; con questa decisione, che è presa durante i primi colloqui, dopo aver valutato le proprie potenziali possibilità rapportate al problema, l'operatore dichiara la sua disponibilità ad impegnare la sua persona, le sue conoscenze e il suo tempo al servizio della persona che si è rivolta a lui per farsi aiutare; con questa decisione dichiara la sua fiducia nella riuscita dell’intervento terapeutico.
Sempre nelle prime sedute, non appena si è valutato il caso e se ne è decisa la presa in carico, devono essere decise le regole del lavoro in comune: frequenza delle sedute, durata, possibili assenze; e per il lavoro espletato in un rapporto libero professionale: l'onorario e le modalità di pagamento.


La costruzione della situazione terapeutica.

La creazione della situazione terapeutica inizia da subito; e il terapeuta deve essere molto attento a questo aspetto del lavoro in particolare nei primi momenti, perché lui e il paziente che prima non si conoscevano si sono appena incontrati e si stanno vicendevolmente studiando.
La situazione terapeutica si compone dell'atmosfera dell’ambiente, della relazione fra paziente e terapeuta, e degli atteggiamenti che l'operatore sa esprimere.
L'atmosfera è idonea se è ricca di calore e di sicurezza. A parte gli atteggiamenti del terapeuta, che sono quelli che maggiormente contribuiscono alla creazione dell'atmosfera e dei quali si dirà dopo, occorre essere attenti all'arredamento, alla disposizione dei mobili, alle luci.
Tappezzerie alle pareti in colori tenui, tipo pastello, danno calore e sicurezza inducendo calma; sono da evitare colori troppo scuri o violenti e il grigio.
Le luci da evitare sono quelle particolarmente intense e fredde, quali sono quelle delle lampade al neon. Sono da preferire lampade a filamento disposte in diversi posti della stanza, in modo da illuminare adeguatamente senza abbagliare qualsiasi posizione assumano le persone.
Per quanto riguarda i mobili il legno e la stoffa è da preferire ai metalli e alla plastica.
Detti aspetti seppur importanti non sono poi così indispensabili, se paragonati alla relazione e agli atteggiamenti. Non dimentichiamo però che l'ambiente in cui una persona vive rispecchia in parte la sua personalità; quindi tutti questi elementi di arredamento descritti si caratterizzano come contenuto di comunicazione per chi entra in quell'ambiente. Tale comunicazione viene assorbita il più delle volte in modo subliminale.
La disposizione dei mobili deve consentire un lavoro agevole, l'impiego adeguato delle tecniche necessarie, e l'espressione degli atteggiamenti richiesti.
Scrivania, sì o no?
Utilizzo del lettino, sì o no?
È meglio una poltrona o il lettino?
E la posizione “vis-à -vis” è da preferire?
A queste domande non è possibile rispondere in un unico senso. Sono tutte condizioni che potrebbero essere utili di volta in volta a seconda del momento. L'ideale sarebbe essere attrezzanti da poter usufruire di tutte le opportunità .
L'atmosfera deve ispirare sicurezza.
È fondamentale che durante il lavoro non esista la possibilità che qualche persona non specificatamente invitata al lavoro che si sta conducendo possa entrare nella stanza.
Meglio, come già detto, se non si è disturbati dal telefono.
L'ambiente dove avvengono le sedute deve essere, sotto il profilo acustico, sufficientemente isolato da non consentire che quanto viene detto possa essere sentito dall'esterno.
Il paziente deve essere certo che quanto confida al terapeuta non sarà divulgato; pertanto è indispensabile che il professionista sappia mantenere il segreto e non ne faccia parola con alcuno neanche con i colleghi.
Chi si propone come ipnologo-psicoterapeuta deve imparare a misurare le parole; meno parla meglio è, ogni parola va valutata prima di essere espressa. Una norma che dovrebbe valere per tutti, considerata l'importanza e la potenza della parola, vale in particolare per lui. Prima di parlare in ogni occasione dovrebbe chiedersi: “È veramente importante quello che sto per dire?”. “Qual è lo scopo che voglio raggiungere con queste parole?”.
Le volontà del paziente e del terapeuta devono coincidere. Non è possibile collaborare se non esiste accordo sugli obiettivi. Il lavoro deve quindi essere fatto in un'atmosfera di autenticità e di accordo, e ogni divergenza sugli obiettivi e sulle finalità del lavoro non deve essere sottovalutata, ma sempre affrontata e risolta, anche se è valutata come una divergenza di poco interesse.
Così come non deve essere trascurata una divergenza, non devono essere trascurati tutti quei momenti di confusione e di non chiarezza che si possono verificare durante lo svolgersi del processo terapeutico: “Se non ci siamo capiti ne riparleremo finché sarà necessario”.
Ogni contenuto deve poter essere espresso nella massima libertà e serenità; questo richiede all'operatore di astenersi da ogni possibile giudizio di valore rispetto alle cose che viene a sapere dalla persona che si è rivolta a lui.

La relazione che si deve instaurare fra paziente e terapeuta deve essere una relazione educativa orientata alla crescita di consapevolezza del paziente
È una relazione nella quale una persona si mette a disposizione dell'altra, al suo servizio, per aiutarla ad affrontare i suoi problemi. È una relazione nella quale la modalità di lavoro, che si tende a instaurare, è la collaborazione; e in essa è esclusa ogni prevaricazione. È una relazione produttiva, rispettosa e tollerante, nella quale si lavora con impegno e perseveranza.
Perché la relazione sia veramente strumento di evoluzione, i concetti non devono rimanere al livello di sola affermazione. Non è sufficiente che siano condivisi razionalmente, ma devono trasformarsi in fatti concreti ad opera del terapeuta.
Per creare l'atmosfera e gestire adeguatamente la relazione, l’ipnologo-psicoterapeuta deve aver fatto propri certi atteggiamenti e deve saperli esprimere.
Questi atteggiamenti sono: Il saper amare; comprendere e accogliere il paziente incondizionatamente; conoscere sé stesso e saper essere autentico; non avere sentimenti di onnipotenza e saper accettare ogni situazione nella quale viene a trovarsi durante il lavoro e ogni aspetto proposto dal paziente; possedere una maturità emotiva maggiore di chi si vuole aiutare; aver convinzione nella possibilità di cambiamento; avere una concezione evolutiva dell'uomo e sapersi impegnare nel lavoro con serietà, costanza, calma e pazienza.
Anche questi concetti non debbono rimanere lettera morta ma farsi concreti in un modo di essere del terapeuta, ed è proprio questo ‘modo di essere’ che fa capire al terapeuta stesso, come il ‘lavorare su di sé’ tenda a non terminare mai.
Se pensiamo all'acquisizione graduale degli atteggiamenti descritti da parte del terapeuta come ‘grado di sua evoluzione personale’; allora va ribadito con chiarezza che, chi si propone come terapeuta, deve essere sicuramente più avanti su questo sentiero della persona che a lui si rivolge per essere aiutata.

La definizione del problema e delle soluzioni tentate.

Dopo la telefonata attraverso la quale viene richiesto un incontro, e dopo che l'appuntamento è stato fissato, l'incontro avviene nell'ambiente deciso dal terapeuta.
È in questa fase che viene presentato il problema.
Il professionista dovendo valutare la possibilità della presa in carico deve sapersi orientare, deve saper fare una diagnosi precisa e deve sapersi misurare con il problema, rapportando i suoi strumenti alle difficoltà del problema stesso.
Questo è il momento attraverso il quale il problema viene ben definito e circoscritto. Si prende coscienza del collegamento esistente fra la sofferenza vissuta dal soggetto e tutti i tentativi di soluzione attivati e risultati inefficaci. È attraverso questo lavoro che il soggetto scopre che, se vuol vivere più felicemente, deve modificare certi suoi comportamenti. È in questa fase che il soggetto scopre che i tentativi che lui autonomamente ha fatto in passato per superare la sua condizione di sofferenza sono inefficaci e quindi deve abbandonarli; anche se si sono già caratterizzati come abitudini di vita. Abbandonarli richiederà sicuramente consapevolezza e impegno.
Le tecniche che il terapeuta ha a disposizione sono molte, ma quella da privilegiare, perlomeno all'inizio, è il colloquio clinico .
In certe situazioni l'utilizzo di test proiettivi può essere di aiuto notevole .
Impiegando l'ipnosi e le tecniche di regressione d'età è possibile accedere ad una quantità notevole di dati non accessibili in condizione normale di colloquio.
Normalmente nel primo incontro, il paziente presenta la sua sofferenza e i suoi sintomi, demandando al terapeuta la soluzione del problema, un po' come un paziente chirurgico quando si rivolge al medico, o quando va dal dentista. È questo il momento in cui va chiarito che il supera¬mento della sofferenza è vincolato al un lavoro da fare su di sé che produca cambiamenti nel suo modo di reagire agli stimoli ai quali è assoggettato di continuo nel corso della sua vita; e va chiarito come il cambiamento segua un processo di cre¬scita basato sull'abbandono di vecchie abitudini e sull'apprendimento di comportamenti nuovi; deve essere ben specificato che nessuno può impa¬rare e crescere per un altro e che quindi non è possibile delegare questo lavoro agli altri.
Se una persona è più consapevole di un’altra; se ha già realizzato su di sé certi cambiamenti; se “vede” più dell’altra ed è un po' più avanti sulla salita, può indicare a chi lo segue dove poggiare il piede; ed è proprio questo il ruolo del terapeuta.
Se tale impostazione è accettata dal paziente, (e non tutti l'accettano subito con entusiasmo, anzi alcuni la rifiutano e si rivolgono ad altri per farsi “curare” rimanendo nell'illusione che la sofferenza psicologica possa essere superata come si supera il dolore di un dente cariato), il paziente inizia ad orientare l’attenzione all'interno di se stesso invece che sul terapeuta nell’attesa dell’intervento esterno che risolva. Il terapeuta, allora, può assumere il ruolo importante di collaboratore esperto che aiuta il paziente a far chia¬rezza in se stesso.
Riuscire ad orientare l'attenzione all'interno consente di incominciare ad osservare i sintomi da una prospettiva diversa. Si incomincia a chiedersi quale senso e quale ruolo essi abbiano nella dinamica psicologica di tutta la propria vita e si scoprono man mano tutti i tentativi che sono stati già fatti in passato per uscire dalla sofferen¬za, senza però riuscirvi.
In questa fase iniziano ad aver importanza tecniche quali l'analisi della propria storia, l’ipnosi regressiva, i primi ricordi, i sogni ricorrenti e le libere associazioni .

Presa di coscienza dei vissuti generatori di sofferenza.

L'autosservazione inizia a dare frutto, si fanno i primi collegamenti fra i sintomi, le esperienze di vita, i vis¬suti e le emozioni.
In questa fase il paziente può rivivere emozioni di sofferenza, questo viene percepito come minacciante e pericoloso sviluppando angoscia. A quest’angoscia il paziente reagisce con l'attivazione di resistenze al lavoro e con la messa in atto delle difese elaborate nel corso della propria vita.
Le modalità psicologiche attraverso le quali un soggetto può rap¬portarsi ad una situazione di minaccia sono riassumibili in cinque categorie. Dette modalità sono riconducibili alla situazione di minaccia in cui il medesimo viene a trovarsi e alle sue reali risorse: egli può affrontare adeguatamente il pericolo ( e in questo caso non si strutturano difese); lo può fuggire; può evitarlo; può ignorarlo e può soccombere. (In questa classificazione possono essere fatti rientrare tutti i meccanismi di difesa dall’angoscia studiati e descritti dalla psicanalisi quali: la rimozione, la formazione reattiva, l'annullamento, la proiezione, l'identificazione, l'introiezione, l'isolamento affettivo, la negazione, il rivolgimento contro di sé, e la regressione).
L'analisi delle difese e delle resistenze contribuisce notevolmente alla presa di coscienza e alla conoscenza di sé. Anche le difese possono essere modificate come i significati patogeni.
Dunque il soggetto inizia a chiarirsi i primi collegamenti fra i suoi diversi modi di espressione (pensieri sentimenti, motivazioni, scelte e comportamenti) e le sue sofferenze.
Scopre come ogni sua espressione sia una risposta alla sua sollecitazione interiore e come essa sia regolata da un filtro fatto da tutta la sua storia, dai contenuti e dai significati che ha dato, nel tempo, a tutte le sue esperienze; anche se molte di queste esperienze non erano più immediatamente accessibili al ricordo.
Riesce a comprendere la sua sofferenza e a darle una collocazione ben precisa nel contesto della dinamica della sua esistenza.
In questa fase del lavoro si è dimostrata molto utile una tecnica da impiegare con il paziente in ipnosi messa a punto ormai da diversi anni, detta: “Associazioni guidate sulla traccia del significato lungo catene di contenuti mentali” .
Per descrivere questa tecnica è necessario riportare alla mente la rappresentazione grafica della “struttura del sistema dei criteri”, proposta nel primo capitolo.
Tale struttura è stata rappresentata da un cilindro formato da tanti dischi sovrapposti; ogni disco rappresenterebbe la singola esperienza; e ogni esperienza si comporrebbe di soggetti, di oggetti e di vissuti, rappresentati dai diversi spicchi del disco. Spicchi e dischi sono tenuti insieme da una ipotetica colla che rappresenterebbe i diversi significati dati dal paziente alle diverse esperienze. I dischi gli spicchi e la colla sono immaginati di diverso colore.
“L'associazione guidata sulla traccia del significato” utilizza le possi¬bilità dell'ipnosi che consentono al paziente di recuperare memorie anche molto remote.
Attraverso i primi colloqui sono stati descritti i sintomi che hanno spinto il paziente ad iniziare un trattamento. Se il soggetto è una persona sensibile alla psicologia ha già, in questi primi colloqui, da solo, fatto diverse associazioni fra i suoi sintomi, le sue esperienze e i suoi vissuti. Se è stato necessario si sono già applicati dei test proiettivi e gli altri strumenti idonei all'approfondimento del¬l'indagine conoscitiva.
Si sono evidenziati alcuni significati patogeni che impegnano il sog¬getto, nel corso della sua esistenza, in comportamenti che in lui gene¬rano sofferenza. Tali significati emergenti possono essere codificati in frasi del tipo: “A me le cose non possono andare bene”. “Tutte le cose mi spaventano”. “Ce l’hanno tutti con me”. “Sono solo”. “Cambierà mai nulla”. “La morte mi angoscia”. “Non ce la farò mai”. “Non riesco a controllarmi”, eccetera.
Con riferimento alla rappresentazione grafica del cilindro, detti significa¬ti corrisponderebbero ad un colore preciso.
La tecnica delle associazioni guidate sulla traccia del significato consente, seguendo questo colore che si snoda lungo e attraverso il cilindro, di far emergere a livello di coscienza tutte quelle esperienze storiche alle quali il paziente ha attribuito il significato in esame; dalle esperienze più recenti alle più remote.
In pratica il paziente viene aiutato a realizzare in sé lo stato di ipnosi, nel quale l'espressione dei sentimenti e delle emozioni (elementi fondamentali alla costituzione del disco e alla definizione della colla), è sicuramente più vivida che non nelle condizioni di discorso dello stato normale di veglia. In ipnosi gli viene chiesto di orientare l’attenzione sulla frase oggetto del significato rispetto al quale si desiderano evidenziare le esperienze correlate.
Un modo per orientare l’attenzione può anche essere quello di ripetere sottovoce più volte la frase.
In sequenza il soggetto ricorda tutte le esperienze significative (i dischi del cilindro), correlate al significato oggetto della ricerca.
Il ricordo può essere così pregnante da far rivivere al paziente l'esperienza passata con le stesse sensazioni ed emozioni di allora.

Scoperta della struttura dei significati patogeni che sostengono la sofferenza

Attraverso questo lavoro la struttura dei significati patogeni prende corpo. Il paziente prende coscienza del fatto che tutti gli stimoli che riceve sollecitano in lui delle risposte fatte di idee, pensieri, sentimenti, emozioni e motivazioni al comportamento. Scopre che tali risposte sono strettamente filtrate e determinate dalla struttura che sta lentamente evidenziando in sé. Si accorge, man mano, che la sofferenza psicologica è sempre la conseguenza dei suoi atteggiamenti interiori, delle interpretazioni che consciamente e inconsciamente da agli stimoli ai quali è assogettato. Si motiva al cambiamento della sua struttura di significati e inizia a far domande precise di aiuto in detta direzione. Perché gli atteggiamenti possano essere cambiati stabilmente occorre che sia ristrutturato il cilindro dei significati e avvengano apprendimenti graduali che consentano esperienze concrete e positive tali da sollecitare il paziente ad abbandonare le vecchie abitudini per costruirsene altre.


Ristrutturazione dei significati patogeni.

I significati patogeni determinati dalle passate esperienze possono essere modificati solamente attraverso nuove esperienze, e vari e molti sono i modi e le tecniche con le quali si può riuscire ad ottenerne un cambiamento.
Una modalità è quella di rivivere in ipnosi nel modo più preciso possibile le esperienze passate. Rivivendole esiste la possibilità di modificarne l'ottica e il significato attraverso l'impiego di tecniche quali:
- Le risposte riflesso - con le quali viene offerta la possibilità al soggetto di confrontare, con gli strumenti del presente, le sue elaborazioni passate.
- Le delucidazioni - ritornano al paziente quei contenuti che lui non ha espresso direttamente con le sue parole ma che il terapeuta può dedurre dalla comunicazione e dal contesto.
- Le interpretazioni - sono quegli interventi verbali attraverso i quali il terapeuta fa diventare conscio il paziente, in senso direttamente pregnante, a livello intellettivo ed emotivo, dei contenuti prima inconsci.
- Diverse tecniche di drammatizzazione prese dallo psicodramma di J.L.Moreno e adattate allo scopo quali:
- L'inversione dei ruoli - il soggetto è invitato a sostituirsi ad un personaggio diverso da sé, presente nell'esperienza che si sta analizzando, recitandone la parte, tale esperienza ha l'effetto di far uscire una persona da se stessa, in modo che possa vedersi dal punto di vista degli altri.
- Il doppio - attraverso la quale l'operatore cerca di comportarsi come se fosse il soggetto aggiungendo possibilità di espressioni.
- Il soliloquio - che consiste nell'esprimere ad alta voce tutti i pensieri e i sentimenti che il soggetto sta vivendo.
- La proiezione nel futuro - attraverso questa tecnica il soggetto ipotizza le conseguenze del suo comportarsi attuale rapportate al cambiamento possibile.
- Lo specchio - è una tecnica che consente al soggetto di osservarsi da una distanza che gli permette la presa di coscienza necessaria.
Un'altra modalità è quella di inserire elementi nuovi nell'esperienza passata del soggetto mentre la sta rivivendo. Anche per questa modalità le tecniche sono molte:
- Il sogno da sveglio guidato - elaborato da R.Desoille.
- Le diverse modalità elaborate da M.H.Erickson .
- L'utilizzo della “Dissonanza cognitiva” teorizzata da L.Festinger .
- Rinforzare sempre, come insegna la psicologia dell'apprendimento, i significati alternativi orientati al cambiamento che si possono realizzare durante il lavoro terapeutico.
Oltre alle modalità sopra elencate esistono una quantità di altre tecniche utilizzabili allo scopo che possono essere impiegate con o senza ipnosi:
- La prescrizione del sintomo - è una tecnica elaborata da V.E.Frankl nel contesto della terapia da lui denominata “Logoterapia” .
- Il paradosso - La modifica e lo spostamento del sintomo nel tempo e nello spazio - L'illusione di alternative - sono tecniche elaborate dal Mental Research Institute di Palo Alto in California .
- L'ancoraggio - e - La ristrutturazione - Tecniche elaborate da R.Bandler e J.Grinder nel contesto della “Programmazione neurolinguistica” .
Le difese inadeguate che emergono durante il lavoro di aiuto psicologico e le resistenze che si caratterizzano devono essere considerate alla stregua di significati patogeni e ristrutturati come tali.
Tecniche utili al superamento delle difese sono le seguenti:
- La desensibilizzazione sistematica - tecnica studiata e messa a punto dalla Behavior Therapy consiste nel far immaginare al soggetto, in stato di distensione, un graduale avvicinamento alla situazione che sviluppa angoscia fino a quando tale emozione si riduce e scompare.
- È possibile rassicurare e aumentare la fiducia del soggetto ispirandosi al mondo delle fiabe e dei simboli magici.
- Se la situazione lo consente, il dimostrare, da parte del terapeuta, il comportamento richiesto in modo che il soggetto possa imitarlo, può essere una tecnica particolarmente efficace. Si tratta di far osservare al soggetto come all'operatore non capiti nulla se si mette nella situazione temuta dal soggetto stesso.
- La peggior fantasia - è una tecnica elaborata dal Mental Research Institute e può consentire un significato che sta man mano affiorando alla coscienza e che il soggetto vorrebbe fuggire, consiste di chiedere al soggetto di non parlare di ciò che egli ha “realmente paura”, ma di immaginarsi le conseguenze più “inverosimili” e “catastrofiche” che si potrebbero verificare se il comportamento temuto si attuasse. (Essendo in questo modo libero dai vincoli del reale, del possibile e del ragionevole, alla maggior parte delle persone riesce più facile vedere le conseguenze reali e possibili).
- Accettare la resistenza del soggetto ad affrontare il pericolo e utilizzarla come strumento di cambiamento dell'atteggiamento di fuga, è un'altra tecnica efficace. Invece di rispondere ad un attacco con un altro che abbia almeno la stessa forza, è molto meno oneroso e più produttivo cedere, e come insegna lo judò, sfruttare a proprio vantaggio la forza dell'altro.

Apprendimento e sperimentazione di comportamenti più confacenti allo scopo.

È la fase in cui l'impegno del paziente, che a volte è notevole, è rivolto consapevolmente ad allontanare da se stesso abitudini generatrici del soffrire, anche molto radi¬cate, per costruirne altre più confacenti allo scopo, che è sempre solo: appagamento non illusorio della propria necessità .
Apprendere è possedere la “capacità di”, è stabilire nuove connes¬sioni, nuove associazioni fra gli stimoli a noi esterni e le nostre risposte, nell'ambito delle possibilità concesse dall’ organismo.
Si apprende per associazione, per condizionamento, per tentativi ed errore e per intuizione.
Anche per questa fase le tecniche utilizzabili sono diverse, per la loro applicazione, però, occorre tener conto di alcune regole:
• Il comportamento da realizzare va definito in modo preciso.
• L'apprendimento da raggiungere deve essere definito tenendo conto delle potenzialità attuali del paziente.
• Evitare il più possibile le costrizioni e le mortificazioni dirette dei comportamenti patogeni.(Impiego dell’ipnosi con suggestioni dirette al sintomo).
• Sostenere il paziente nei periodi in cui, durante la terapia, pare non si ottengano risultati.
• Ricordare sempre che l'insuccesso non può essere mai demandato ad un solo elemento della diade “insegnante/allievo”; e, in particolare, l'insegnante non deve mai rinunciare al raggiungimento della meta.

Alcune tecniche:

- Le “Formule di proponimento” del Training Autogeno di J.H.Schultz sono una tecnica precisa per orientare l'“energia pensiero” verso la meta da raggiungere. Si inseriscono nell'esercizio di training che viene effettuato due-tre volte al giorno.
- Un'altra tecnica per orientare costantemente l'“energia pensiero” verso l'obiettivo sono i cosiddetti: “Richiami di coscienza” che consi¬stono in cartoncini sui quali è riportata la frase che in sintesi de¬scrive la meta verso la quale il soggetto si sta impegnando. Tali car¬toncini, distribuiti in posti strategici (sullo specchio del bagno, come segnalibro, in tasca, nel portafoglio), tutte le volte che sono da noi visti e letti richiamano la nostra attenzione sul “lavoro” che stiamo facendo su noi stessi.
- I comandi post-ipnotici - sono quelle suggestioni che il terapeuta dà al paziente in ipnosi perché lui, fuori dalla seduta, realizzi i comporta¬menti suggeriti.
- L'apprendimento, perché si fissi, richiede allenamento e continui rinforzi; il paziente deve allenarsi consapevolmen¬te, ripetendo in continuazione il comportamento che vuole attivare in sé, fino al momento in cui, tale comportamento, si trasforma in un'abi¬tudine che si attiva come risposta inconscia agli stimoli.
-I condizionamenti e i decondizionamenti in ipnosi, sono tecniche di apprendimento molto impiegate dagli operatori esperti in ipnosi, che si basano sulle teorie del condizionamento classico di I.P.Pavlov e del condizionamento operante di B.F.Skinner.
-Le tecniche di incoraggiamento e di affermazione dell'Io sono tecniche di sostegno; una in particolare è stata elaborata da A.Salter attraverso la quale si incoraggia il soggetto ad esprimere le proprie emozioni in modo chiaro e sincero, anche attraverso il libero uso della mimica facciale; si incoraggia a palesare le differenze di opinione ove esistano. Si invita ad usare deliberatamente la parola “Io” ed a espri¬mere accordo quando si è lodati; infine il soggetto è incoraggiato a im¬provvisare e ad agire spontaneamente.
-Una tecnica di insegnamento guidato sono le frustrazioni e le gratifi¬cazioni ottimali che consistono in situazioni appositamente predisposte che il paziente. si trova a dover vivere e dalle quali il medesimo ricava insegnamento. L'importante è che le frustrazioni siano ben misurate da non superare le attuali capacità del paziente a viverle e che le grati¬ficazioni siano collocate al momento giusto.

Termine della terapia.

L’impegno terapeutico termina quando il problema è stato risolto o quando paziente e terapeuta decidono, per qualsivoglia ragione, di sospenderlo.
Ci si riferisce al termine dell’impegno terapeutico e non al termine della terapia o della relazione terapeutica perché la terapia continuerà anche quando sarà interrotto il rapporto fisico di relazionale fra paziente e terapeuta. La relazione psicologica fra i due, dal momento che è stata instaurata, continuerà per sempre nel loro immaginario.

Per concludere il capitolo va aggiunta ancora qualche parola sul terapeuta.
Si è affermato che il terapeuta, e a maggior ragione lo psicoterapeuta ipnologo, debba essere un conscio educatore del proprio paziente orientando la sua attività prevalente all’evoluzione della consapevolezza del paziente stesso.
C’è da chiedersi che voglia dire “educare alla consapevolezza” e quale sia realmente lo spazio dello psicoterapeuta considerato che la Vita in sé nel suo esprimersi ha sicuramente articolato le dinamiche evolutive necessarie in modo perfetto per ognuno di noi ed in tale contesto sintomi, malattie e sofferenze hanno il loro preciso ruolo.
Come stimolo all’analisi del proprio ruolo di terapeuta, propongo al lettore due storie ricavate dalla raccolta non pubblicata di A.Raposio.
“Un giorno uno psicologo chiese ad un saggio a che poteva servire il suo operato al mondo.
“Ecco, disse lo psicologo, ho capito che non posso curare il mentale finché lo spirito non è libero e che devo agire fuori del gioco dell'ego se voglio aiutare i miei pazienti, dunque che devo fare?
Il saggio rispose:
“Sei libero tu? E sei fuori del gioco?”
“No” rispose lo psicologo.
“Allora - disse il maestro - fa ciò che sai.”
“Cioè - chiese lo psicologo - insegno ciò che so?”
“No - disse il maestro - puoi fare molto di più!”
“E cioè?”
“Smetti di insegnare!”
“Ma allora cambio mestiere!”
Il saggio stette un po' in silenzio e poi disse:
“Quando colui che costruisce archi scopre che questi servono per uccidere, che fa? Non costruisce più archi o non lavora più?
Tu non devi smettere di lavorare ma cambiare mestiere!
Come hai fatto a fare il padre?”
“Ho seguito, giorno per giorno nei loro bisogni, i miei figli!” rispose lo psicologo.
“Allora cambia mestiere - disse il maestro - e poi aggiunse: Con i tuoi pazienti comportati come con i tuoi figli e sii presente alle loro necessità, non ai loro bisogni!”
“Ma che differenza c'è?”
“Quando su una strada trovi un carro che ti chiude il passo, cambiare strada è una necessità o un bisogno?”

e ancora:

“Maestro cosa vuol dire far sì che conoscenza sia?”
“Il maestro è colui che è sveglio, i discepoli sono addormentati.
Ci sono cattivi maestri che forniscono ai loro allievi nuovi sogni da sognare nei loro sonni.
E pensano di averli svegliati solamente perché gli han cambiato il sogno.
Un buon maestro sta attento a non suggerire quello che lui chiama Verità a coloro che dormono perché essi ne farebbero un oggetto dei loro sogni, ma sa che la vita prima o poi darà ai suoi allievi un forte pizzicotto.
Il buon maestro, anziché alleviare il bruciore di quel pizzico, è lì pronto a lanciare il suo grido perché l'allievo non si rigiri sul fianco, ma finalmente si svegli!”
Sul significato della sofferenza e della terapia
Sul significato della sofferenza e della terapia

In chiusura di questo scritto ci si chiede quale ruolo possa avere il potere della parola che è lo strumento impiegato nella relazione d’aiuto psicologico e nell’ ipnositerapia in un momento nel quale i cambiamenti sociali e culturali sono in rapido mutamento e la scienza e la tecnologia ha raggiunto vette di notevole rispetto.
Intanto va ricordato che malgrado i risultati ottenuti dalla ricerca scientifica in medicina e le conseguenti applicazioni terapeutiche, la sofferenza e il dolore dell’ uomo nelle loro manifestazioni psicologiche e somatiche continuano a mietere vittime e questo perché, forse, il dolore e la sofferenza non possono essere completamente eliminati dalle dinamiche dell’ esistenza per la specifica funzione che essi hanno.
Il dolore ha una funzione fondamentale che non sempre è compresa da coloro che lo vivono e l’ atteggiamento prevalente di fronte al fenomeno del dolore è di difesa, di rifiuto e di ribellione.
L’ intima funzione del dolore è biologicamente costruttiva ed è fondamentale nell’ economia della vita come ricostruttore di “ordine” e stimolatore di attività cosciente.
“Il dolore è parte integrante della vita dell’ uomo con funzioni evolutive importanti, e quindi irriducibile fattore sostanziale che impone l’ evoluzione” .
La medicina e la farmacologia si orientano alla eliminazione delle cause immediate del dolore senza considerare che, ad una osservazione più profonda, si evidenzia che esso è risposta ad una causalità più vasta in cui rientrano dinamismi sia fisiologici, sia psicologici e sia spirituali, a volte eliminare unicamente il dolore senza comprenderne i significati riduce notevolmente la possibilità di aiuto al sofferente.
Il dolore è conseguenza della nostra libertà di uomini e della nostra ignoranza delle leggi che sostengono la vita. È il dolore che, educativamente, evidenzia l’ errore del nostro agire.
Le nostre illusioni, soltanto perché credute vere, non mutano la legge che, comunque, attraverso il dolore si fa comprendere.
Ubaldi scrive: “L’ uomo nella sua ingenuità pretenderebbe di violare e modificare la Legge piegandola a se stesso, è pieno di illusione di potere e saper tutto e tutti frodare, si ride delle reazioni e considera il fratello caduto come un fallito, invece di tendergli la mano perché gli sia resa quando alla sua volta cadrà. Dovrebbe invece comprendere che in un mondo in cui nulla si crea e nulla si distrugge, anche nel campo delle sottili qualità morali, non si neutralizza un effetto se non riconducendolo invertito alla causa, perché ivi trovi la sua compensazione; non si annulla una quantità di carattere cosciente e morale, se non viene riassorbita nella vita. La miope mentalità moderna (Ubaldi scriveva negli anni ‘30) si limita al gioco della difesa immediata contro una forza che ritorna sempre, con una fatica continua la scaccia invece che assorbire lo sfogo che la esaurisce e, per non vedere e per stordirsi nel godimento, la ingigantisce con nuovi errori che ritornano sempre in forma di nuovi dolori. E così uomini e classi sociali e nazioni si passano l’ un l’ altro questa massa ingombrante di debito che fa il giro di tutti, passa di generazione in generazione e resta sempre la stessa perché riassorbita da nessuno. Cristo che muore in croce redimendo con la sua passione l’ umanità, è il simbolo grandioso che riassume e convalida questi concetti.”
Se è così non ci libereremo mai dalla sofferenza? Come uscirne?
Soltanto l’ evoluzione della coscienza ci libererà dalla sofferenza.
“Se il dolore fa l’ evoluzione, l’ evoluzione annulla progressivamente il dolore. (...) L’ annullamento del dolore si opera coraggiosamente attraverso il dolore” .
Lo sviluppo della coscienza è graduale e mediato dall’ esperienza pertanto occorre anche saper subire le reazioni di cause attivate in passato; perché il dolore è sempre effetto di una causa attivata, e in ciò ci aiuta il concepire il dolore non come un male dovuto al caso ma come “una forma di giustizia, come una funzione di equilibrio che insegna all’ uomo, pur rispettandone la libertà, le vere vie della vita e lo ‘costringe’, dopo tentativi ed errori, per l’ unico cammino possibile: quello del proprio progresso” .
Diversi sono i modi di soffrire. Più è basso il livello di coscienza, più è greve la sofferenza, come testimoniano le tre diverse grida dalle tre croci uguali sul Golgota.
Al livello più basso “il dolore è sconfitta senza pietà, l’ essere soffre nella tenebra, solo, pieno d’ira, in uno stato di miseria assoluta, senza luminosità spirituali compensatrici. È il dolore del dannato, cieco, senza speranza.”
È la croce del ladrone nel racconto di Luca; la croce della maledizione, che è disperazione, conseguenza dell’ aver agito nella massima ignoranza della Legge.
Ad un livello superiore, “la coscienza si desta, pensa e riflette; lo spirito ha il presentimento di una giustizia, di una compensazione e di una liberazione e spera. È il dolore tranquillo di chi sa ed espia, è il purgatorio confortato da una fede; la pena si arresta alle porte dell’ anima che ha un suo rifugio di pace. La mente analizza il dolore, ne scopre la causa e la legge, e lo accetta liberamente come atto di giustizia che porterà alla gioia; di un tormento fa un lavoro fecondo, un istrumento di redenzione” .
È la croce dell’ accettazione, della sopportazione, la croce del “buon ladrone”.
A questo livello di coscienza il dolore ha perso molto della sua virulenza.
Crescendo in consapevolezza il dolore è sempre più confortato dalla speranza, l’ anima è sempre più corazzata rispetto agli attacchi. La visione delle cose si amplia, c’è profonda sensazione di giustizia e ottimismo. “In mezzo alle dissonanze dell’ ambiente si forma nell’ animo un’oasi di armonia”.
Per gradi si giunge alla croce dell’ accoglienza e dell’ amore dove “il dolore perde il suo carattere negativo e malefico e si trasforma in affermazione creativa, in potenza di rigenerazione, in una corsa alla vita. (...) Il dolore, costringendo lo spirito a ripiegarsi su se stesso, prepara la via alle profonde introspezioni e penetrazioni, desta e sviluppa le sue qualità, altrimenti latenti, ne moltiplica tutte le potenze. (...) L’ espansione della vita, costretta verso l’ interno, raggiunge realtà più profonde e l’ urlo del dolore costringe sulle vie della liberazione. (...) (Agli alti livelli di consapevolezza) il dolore non è solo più espiazione che si conforta di speranza: è lo slancio frenetico delle grandi creazioni spirituali. (...) Il concetto di dolore-danno e dolore-male evolve così per gradi in quello di dolore-redenzione, dolore-lavoro, dolore-utilità, dolore-gioia, dolore-bene, dolore-passione, dolore-amore. Vi è come una trasmutazione del dolore nella legge santa del sacrificio. In questo paradiso, il miracolo del superamento del dolore attraverso il dolore è compiuto.”
L’ evoluzione della coscienza è l’ annullarsi del dolore nella sua causa; scompare ogni violazione della Legge da parte dell’ io in seguito al raggiungimento della loro unificazione con la caduta del disaccordo e lo sviluppo dell’ armonia.
“Il male transitorio, lo stridor delle violazioni, l’ urto violento tra la libera azione e la legge, si esauriscono nella loro funzione.”
Comprenderà il lettore come nel contesto di tale concezione della sofferenza, che non è certamente quella condivisa universalmente, ci si debba porre il quesito di che cosa possa voler dire: aiutare l’ altro a superare il suo soffrire. È opportuno definire che cos’è che veramente aiuta, qual è l’ agente lenitivo e quale spazio può essere riservato alla gèniosi.
Qualcosa si è accennato nelle pagine precedenti, ma altro vorrei aggiungere brevemente ancora in particolare ampliando il discorso al concetto di terapia e di psicoterapia, anch’essa espressione della relazione d’aiuto.
Intanto va ricordato che i termini terapia e terapeuta derivano dalla parola greca therapeýô che esprime un doppio significato: io servo e io curo (io aiuto), e fu quindi usata nel tempo con significati diversi. In passato si dicevano terapeuti gli esseni ebrei che conducevano vita austera di contemplazione e, più tardi, i cristiani che vivevano nelle solitudini dell’ egitto e, rinunciando ai beni terreni, pregavano e digiunavano in attesa della vita dopo la morte. Oggi con terapia si indica quella parte della medicina che si occupa della cura delle malattie.
In relazione alla concezione del dolore esposta è terapeutica quell’ azione (anche della gèniosi) che aiuta il paziente a liberarsi dai suoi condizionamenti costrittivi e a progredire sul sentiero dell’ evoluzione di coscienza e non, in modo indiscriminato, quell’ azione che mira unicamente alla soppressione del dolore.
Non affermo che il dolore non debba essere soppresso, anzi, ma che non deve solo essere soppresso.
L’operatore che orienta la sua azione alla mera soppressione della sofferenza senza farsi carico del suo significato per il soggetto priva il medesimo di uno stimolo fondamentale al suo progresso, rallenta la sua evoluzione; diverso è se lo aiuta a scoprire il senso del suo dolore e a superarlo. Nel primo caso costringe il soggetto nell’ ignoranza e lo predispone ad ulteriori attacchi del male, nel secondo caso contribuisce a liberarlo realmente.
Come si è cercato di dire nei capitoli del libro, la gèniosi è un dinamismo psicosomatico di notevole potere ed è mia convinzione che debba essere impiegata unicamente con finalità evolutive addestrando l’utente a gestire sempre più consapevolmente la potenzialità ideoplastica della sua rappresentazione mentale, non nell’ ottica miope della soppressione del dolore a tutti i costi, ma nella direzione della comprensione e dell’ accoglienza degli effetti di cause attivate per ignoranza in passato, aiutandolo a ricostituire l’ equilibrio perso ed evitare futuri errori.
Prima di chiudere accenno ancora all’ agente terapeutico; in sostanza a che cos’è che cura. Più volte ci si è riferiti all’ argomento durante l’ esposizione ma cerchiamo ora di far sintesi.
La Società Italiana di Psicoterapia Medica ha dedicato il suo XXII congresso nazionale al tema dei: “Fattori terapeutici della psicoterapia”
Molti sono stati gli aspetti discussi: Catarsi; insight; la relazione terapeuta - paziente (setting: rapporto emotivo, empatia); le caratteristiche dello psicoterapeuta; la capacità di ascolto; motivazione del paziente; l’ adattamento della psicoterapia alle esigenze del paziente.
Tutti aspetti, nella loro interazione, di grande rilevanza nella terapia ma ancora non dicono qual è il fattore che in realtà cura, producendo cambiamenti e salute.

F.Capra si chiede quale sia l’ essenza della psicoterapia e in che modo produca i suoi effetti e, in suo libro , riporta il parere di alcuni psicoterapeuti contemporanei di successo:
per R.D.Laing, (Psichiatra inglese di formazione freudiana), la psicoterapia è essenzialmente un incontro autentico fra esseri umani. Per S. Grof, anch’esso psichiatra, perché la psicoterapia funzioni deve essere attivato nel paziente il potenziale di auto guarigione e una volta che il processo terapeutico sia stato iniziato il ruolo del terapeuta è quello di facilitare le esperienze emergenti e di aiutare i pazienti a superare le resistenze. Per O.C.Simonton (l’ oncologo che dagli anni ‘70 impiega anche la visualizzazione in gèniosi per la terapia del cancro), l’ idea che, se si rivive il trauma, questo viene risolto è imprecisa. Per lui la cosa importante non è il fatto di rivivere le esperienze passate, anche se ciò è senza dubbio molto utile, bensì la ricostruzione della realtà che si opera nel rivivere tali esperienze. L’ integrazione intellettuale dell’ esperienza è una cosa, ma la sua realizzazione pratica è un’altra cosa. Modificando il modo in cui si vive la nostra, esprimiamo nella realtà il mutamento delle nostre convinzioni. Questa secondo lui è la parte difficile della psicoterapia; tradurre nella pratica le nostre intuizioni profonde.
Fin qui è ciò che dell’ argomento si trova sui testi.
Nel corso della mia esperienza ho incontrato persone con vissuti straordinari e capacità di riportare i significati dei loro vissuti attraverso metafore e storie dai contenuti profondi e inquietanti. Riporto a scopo esplicativo un dialogo di una paziente con una dimensione della sua interiorità, da lei definita suo “maestro interiore”, che si rivolgeva nel suo dire anche alla terapia e all’ agente terapeutico:
“Attraverso di te anche lui (si riferisce nello specifico a me) beve alla fonte della vita, perché te ho scelto come tramite perché la tua parola colpisca e raggiunga il suo cuore; perché una cosa importante consideri e capisca cioè abbandoni il senso quotidiano della vita e degli studi fatti, secondo cui la persona può migliorare e mutare, ma si rafforzi sempre più nell’ idea che lo spirito solo può e fa. Lo spirito solo agisce e pensa e tutto modella e plasma e niente e nessuno possono qualcosa. Cioè capisca che si deve rafforzare questo pensiero con il tuo esempio. Tu non capisci molte volte o meglio sei distante, quasi l’ opposto di ciò che esce dalla tua bocca e quindi da ciò dovete capire che (nome proprio della paziente) può solo quando tutto dentro sarà in sintonia. Prima è tempo perso cercar di convincerla, e parole vane quelle con cui le si dice pensa così e fai cosà. Tempo perso se (il terapeuta) pensa di essere l’ acceleratore nella vita e nell’ evoluzione di alcuno, poiché in verità evoluzione non c'è, non c'è tempo, c'è solo la vita che vivendo si capisce e si riconosce. Certo questo disagio leggero che sente è perché è ancora tanto legato ai frutti di ciò che fa e di ciò che vede fiorire in te. Ma non c'è frutto che non rispetti il suo proprio mese. Quando il fiore ha raggiunto il suo giusto fiorire nel caldo e nel tempo che fa e nel silenzio che c'è, perde i suoi stami e lasciandoli alla brezza, va a dar vita ad altri fratelli. Ecco la fioritura è sempre mia (dello Spirito), voi non siete che i servi, affinché capiate che ignominioso è servire. Chi serve non può essere libero. Ecco gli stami sono le parole che escono dalla bocca dello psicologo, quelle di cui lui è messaggero agli altri. Ma non c'è un tempo immediato, non tutto quel che scende dal fiore, che esso abbandona al vento va e trova il terreno da fecondare e feconda. Su questo deve stare attento. Dunque non avverta l’ inutilità delle parole che dice giacché niente è inutile e niente indeciso, niente esce dal mio stupore e dalla mia meraviglia! Niente è a caso, niente è per niente.
Ma attendere non spetta a lui. (...) Dunque non si operi più di tanto a far capire, conduca le parole con amore fuori dalla sua bocca, affidandole come gli stami al vento e il vento soffia dove vuole, sono io il responsabile non lui.
Dunque non s'accanisca e non s'interroghi sull’ inutilità di ciò che fa per gli altri. (...) Liberate lo spirito, non correggete l’ uomo, sarà lo spirito che prendendo le redini lo ringiovanirà e lo convertirà, lo armonizzerà e lo muterà davvero.”
E in altra occasione rivolgendosi direttamente al terapeuta: ”Ciò che conta è il punto di vista, l’ imparziale realtà che ti contiene contro la parzialità delle tue vedute.
Ricordi il bosco?
Ecco se un arbusto guarda la vita come arbusto e non come bosco, non sarà mai contento di sé e vorrà sempre di più e mai avrà pace per il suo cuore.
Poiché nato arbusto vorrà forgiarsi in un solido albero e albero vorrà toccare con le sue fronde l’ amato cielo e lassù ancora vorrà essere cielo stesso, e ancora di più.
Questa è la parzialità della domanda che ti viene posta dai tuoi pazienti e questa è la parzialità dell’ umana risposta.
Colui che viene da te vuole innanzitutto “cambiare”
Or bene, e il cambiamento che cos'è se non l’ ennesima fuga?
Non c'è modello di normalità cui riferirsi se non alla traccia che il Sé lascia in ognuno, e questa traccia che apre il cuore e svela l’ illusione, è appunto la diversità, il vostro guaio.
Altrimenti a che la diversità? A che l’ univocità che nella plurimia si esprime? A che la plurimia che è l’ unico stesso?
Non commettere dunque più l’ errore di voler guarire per poi offrire così molto di meno al tuo paziente.
Il “male” del fratello va guardato come ottima cura per lui per guarire dall’ unico vero male, l’ illusione.
Allora tu perché pretendi d'essere un guaritore d'anime?
Puoi questo tu davvero? Davvero sei ancora perso in questi giochi infantili che ti fanno più grande di ciò che sei?
Ora il fatto che tutto ciò ingigantisca il tuo ego credimi mi fa solo sorridere, e certo su questo non ho nulla da aggiungere a ciò che il tuo cuore già sa.
Considera solo che così facendo tu ti dai un compito che invero non ti spetta.
Ma ciò che mi interessa è che prendendoti per ciò che non sei nascondi al tuo cuore ciò che realmente sei e dunque realmente puoi dare.
Di sapere chi sei mostri desiderio e hai fame, dunque io ho il pane per te.
Ma guarda fra tante meraviglie quale ti consola di più? Il fatto che qualche tuo paziente esca dalla terapia. Perché? Perché camminerà con le sue gambe? Tu credi? E glielo hai realmente insegnato? O lo hai solo soccorso nelle sue ferite negando così anche a lui di conoscere chi realmente è?
Non fraintendermi. Qualunque sia il tuo intendimento è tuo e come tale buono di per sé! Io non sono venuto a discutere su “che” intendimento ma a porre l’ accento stesso sull’ intendimento.
Perché ti chiedi di più di ciò che puoi?
Puoi tu guarire (nome della paziente) dalle sue paure o le donne mastectomizzate dal loro prossimo guaio?
Tu puoi spostare il punto d'attenzione e togliere l’ intendimento.
Non muoverti più per guarire.
Io increspo il mare perché voi, guardando all’ orizzonte le onde alte, vi accorgiate e riconosciate del rettilineo calmo, pacato, orizzonte, l’ immobile inconsueta stabilità.
Voi puntate la vostra attenzione sulle onde e continuate a giocare col mare che per calmo che sia mai potrà essere immobile in un assurdo gioco di saliscendi che vi vede ora vittoriosi, ora perdenti. Guardate l’ orizzonte e lì soltanto fissate il vostro cuore e le onde di loro natura e di loro lena saliranno e scenderanno perché così, finché son onde in seno al mare, fino alla spiaggia devono arrivare.
Muoviti solo perché conoscenza sia!
Non avere solo fretta che quel fratello cambi. Poiché se non avrà realmente capito a che sarà servito increspar onde che svelassero il silenzio?
Raccogli in silenzio il tuo cuore, con esso si cheti e si calmi come quando, perso in un sonno denso e profondo, non sa più chi sei e cosa vuoi. Allora, in questo vuoto senza intenzione di guarire ma con l’ attesa di chi ascolta senza un fine cui dare avvio e sfogo, ascolta ciò che ti verrà proposto. Sia solo presente in te la compassione.
Ascolta questa storia.
C'era una volta una nonna che aveva un grosso guaio con il suo nipote più piccino. A letto quel bambino, non si capiva perché, ma non voleva andare. Dormiva dunque accoccolato assomigliando più ad una bestia che ad un cristiano. Il gatto di casa dormiva come lui sul nudo pavimento della casa. Più volte la nonna aveva portato il piccino sopra il letto dopo che si era addormentato, ma lui in un gran sussulto si era svegliato e, piangendo come se lo avessero acciaccato, aveva fatto desistere la nonna dal riprovarci ancora.
Così andarono avanti le cose e il bimbo crebbe sempre nel suo modo strano di dormire, eppure crebbe sano, robusto e forte, e come tutti i bimbi della sua età intelligente.
La nonna, la cui età volgeva ormai all’ ottantina, da molto tempo non aveva più alcun pensiero per quel nipote poiché a dire il vero, non considerava più una stranezza che quel bambino dormisse come i gatti.
Una notte si svegliò la nonna e avendo dimenticato il pitale fuori dell’ uscio di casa, si alzò per andarlo a prendere e per far ciò dovette passare nella stanza del ragazzo.
Fu così che guardando senza intenzione alcuna, trovò il ragazzo nel letto addormentato.
Stranamente non provò nulla e andò per le sue faccende.
All’ alba il ragazzo andò nei campi come sempre e tornato alla sera sua nonna gli domandò se ci fosse qualcosa di nuovo ed egli rispose:
“Quello che già sai”
“Intendi dire che ora dormi nel letto” Chiese la nonna.
“Sì - rispose il ragazzo - perché stanotte ti ho udita sprangare la porta e ripassare nella mia stanza”.
Dopo un lungo silenzio il ragazzo disse:
“Sai quando ho capito che avrei dormito sul letto?
Quando ho compreso che non ti interessava più, che mi volevi bene così. Nipote strano per te non ero più, e il tuo cuore faceva uno con il mio nel non considerar come diversa o folle o peggio colpevole o solo da mutar questa mia necessità”.
“Era una necessità?” chiese la nonna
“Sì, cos'altro credevi che fosse, forse un capriccio o un malanno?”
“Sì, così ho creduto a lungo” disse la nonna.
“Lo so voi genitori e voi maestri, dato che insegnate avendo in testa come deve essere un figlio o un allievo non riuscite neanche a riconoscere in colui che vi nasce in seno o vi è affidato, la sacra diversità che lo fa invero colui che doveva essere e sarà, pensando che quella cosa che lo rende a voi alieno sia solo un capriccio, un peccato, una mancanza di buona lena, un guaio.
Certo era una necessità affinché io accogliendo con grazia e umiltà nel mio cuore questa strana posizione che il mio corpo voleva e di cui abbisognava, aprissi con essa il mio cuore all’ intera vita qual essa in me si voglia vivere e rappresentare senza che il giudizio, ahimé, morale ne adombrasse la sacralità del gioco”.
“Stanotte tornerai?” chiese la nonna.
“Strano davvero è l’ umano cuore! Nemmeno di una notte foss'anche solo quella, ti accontenteresti?”
“No, qui ti sbagli tu, che qualcosa anch'io l'ho imparato e non sono davvero più contenta se tu dormi qui o là.
Stanotte un angelo di Dio nel sonno mi ha parlato e mi ha detto: “Nonna, non amare di più il tuo piccino se ora lo troverai a letto. Non lo blandire come non avresti dovuto per questo spronarlo a cambiare o per questo maledire, che davvero nulla ha senso se non di per sé, per quel che muove nel cuore di ogni uomo, poiché, vedi, anche come dormi tu a noi angeli fa davvero tanto ridere.
Vedi, noi che siamo angeli dormiamo in piedi sulle nubi d'oro del mattino in quell’ unico attimo in cui il cuore dell’ uomo si desta dal sonno e l’ ego astuto giunge a dire 'ecco son desto, ecco una nuova giornata tutta per me'.
In quel momento solo, noi sulle nubi dorate del mattino chiudiamo gli occhi al sonno perché Dio così vuole affinché noi non ci intromettiamo nel gioco dell’ umano potere e dell’ umano inganno.
E poi dopo che quel comando che getta nell’ illusione l’ intero giorno è stato dato, ecco noi apriamo gli occhi e torniamo a fare il nostro dovere all’ insaputa dell’ ego che si è imposto e s'è dettato re delle azioni tutte, e delle dolci astuzie della vita”.
Allora tu con serenità, (nuovamente rivolto al terapeuta) consapevole del fatto che ognuno custodisce in sé la risposta, sii certo tu per primo che tutto parte solo dall’ accettazione innocente.
Fai solo attenzione a che l’ accettazione sia “innocente” senza cioè vittimismo di chi “sopporti” per conquistarsi Dio e senza il fine spesso inconfessato di poter, così atteggiandosi, avere il “premio”.
Questo ovviamente non potrai pretenderlo né tanto meno insegnarlo poiché non “si accetta”, si è accettazione.
E non pensare di poter insegnare a tutti ciò che è stato scritto poiché se il riso è un ottimo cibo per tutti non è adatto a chi non ha i denti e a colui che per il gusto piccante dei cibi di cui si nutre lo giudicherebbe insulso sminuendone così la fragranza.
Stimola il loro cuore e non dare loro riso e anche masticato che così fa schifo a tutti e poi non se ne potrà più e lo si getterà alle ortiche e ai porci.
Non tutti abbisognano della stessa medicina e anche se essa è una sola, essa materna, si farà acqua per chi ha sete e pane per chi avrà fame.
E ricorda che colui che rifiuta di essere l’ artefice dei suoi guai è sempre perché teme la colpa e il giudizio dunque tu ponili di fronte alla determinazione del loro ego con grazia ed umiltà, che potresti spaventarli e così perderli.
Ricorda: muovi l’ amore!! Dai sempre respiro e muoviti con timida mano, ch'essa non mostri mai un dito minaccioso e racconta nell’ umiltà ciò che il tuo cuore sente”.
Ancora molto ci sarebbe da aggiungere, perché molto ha prodotto questa paziente che ormai da tempo non è più in terapia, ma non è approfondire il discorso su questo tema l’ argomento di questo scritto.
     
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